Archivio Mensile: Dicembre 2020

Chi sono i Santi ? 0

Chi sono i Santi ?


I santi sono l’immagine viva dell’amore di Dio. La loro grandezza è nascosta nel loro spirito. Dio irrompe nell’anima dei santi con la pienezza della sua grazia e vi stampa un’orma più vasta. Tutti i santi sono grandi, ma ognuno ha il suo carisma, come ogni fiore ha il suo profumo.Dio manifesta nei santi la sua presenza e il suo volto. Essi, sebbene partecipi della natura umana, sono tuttavia un riflesso dell’immagine di Cristo (cf 2 Cor 3, 18).I santi, dovunque passano, lasciano qualcosa di Dio. Essi solo lasciano tracce; gli altri fanno rumore, ma non lasciano nessun segno del loro passaggio.Non tutti i santi hanno cominciato bene, ma tutti hanno finito bene. Non c’è santo senza passato, comenon c’è peccatore senza futuro.Dio costruisce l’edificio della santità con la loro stessa natura.La grazia perfeziona la natura, non la sopprime.I santi sono i più grandi testimoni di Dio. Quanti, dopo avere avvicinato un di essi, hanno dovuto confessare: «ho visto Dio in un uomo».Come la deformità dell’anima appare all’esterno di chi è succube delle passioni, così le vestigia della sua bellezza traspaiono nell’atteggiamento dei santi.I santi hanno compreso l’amore di Cristo. La loro vita fu una risposta a questo amore. Ai piedi del Calvario, dove Gesù è morto d’amore, hanno giurato di vivere e morire d’amore per lui.L’amore verso Dio e il prossimo è la costante nella vita dei santi. «Chi vive nell’amore dimora in Dio e Dio dimore in lui» (1 Gv 4, 16). Tra Dio e i santi si opera una specie di identificazione che è l’effetto dell’amore.I santi sono gli essere più perfetti perché più di ogni altro si avvicinano all’essere perfettissimo che è Dio. Compiendo i miracoli entrano in quel grado di unione nel quale ciò che appartiene a Dio appartiene anche a loro.Gli uomini sapiente guardano lontano. I santi sono stati i più sapienti di tutti, poiché il loro sguardo era fisso nell’eternità; lavoravano per l’eternità; orientavano la loro vita in funzione dell’eternità.Sono passati sulla terra con la mente e il cuore rivolti al cielo.Là dove era il loro tesoro ivi era il loro cuore (cf Mt 6, 21).Pur in mezzo alle occupazioni terrene erano così uniti a Dio da non avvertire quasi la presenza di questo mondo.Ogni loro desiderio terreno era crocifisso, non c’era più in essi nessuna aspirazione per le realtà materiali e molti desideravano ardentemente il martirio. Essi ora vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l’Altissimo ha cura di loro (cf Sap 5, 15).Il regno dei cieli è la dimora dei santi, il loro riposo è l’eternità.

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I Santi

San Marco Evangelista 25 APRILE – Festa Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l’ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L’evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un’altra come martire, ad Alessandria d’Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell’828 nella città della Venezia.Patronato:SegretarieEtimologia: Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latinoEmblema: LeoneSan Pio V (Antonio Ghislieri) Papa30 APRILE – Memoria Facoltativa Bosco Marengo, Alessandria, 27 gennaio 1504 – Roma, 1 maggio 1572(Papa dal 17/01/1566 al 01/05/1572)
Antonio Michele Ghislieri, religioso domenicano, creato vescovo e cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano. (Mess. Rom.)Ma l’episodio più celebre della vita di questo grande pontefice, unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo, è sicuramente il suo intervento in favore della battaglia di Lepanto. Per stornare infatti la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il santo papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi, in particolare dopo la presa di Famagosta eroicamente difesa dal veneziano Marcantonio Bragadin nel 1571 che, dopo la resa, fu scuoiato vivo. Alle flotte pontificie si unirono quelle spagnole e veneziane, sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V. Il fatale scontro con i Turchi, allora all’apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto, durò da mezzodì sino alle cinque pomeridiane e terminò con la vittoria dei cristiani. Alla stessa ora Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti in estasi con lo sguardo rivolto ad oriente, ed infine esclamò: “Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”. A ricordo del felice avvenimento che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa liturgica del Santo Rosario, al 7 ottobre, preghiera alla quale sarebbe stata attribuita dal papa la vittoria. Il senato veneto infatti fece dipingere la scena della battaglia nella sala delle adunanze con la scritta: “Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!”.
Pio V era però ormai spossato da una malattia, l’ipertrofia prostatica, di cui per pudicizia preferì non essere operato. Radunati i cardinali attorno al suo letto di morte, rivolse loro alcune raccomandazioni: “Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità”. Spirò così il 1° maggio 1572. La sua salma riposa ancora oggi nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Papa Clemente X beatificò il suo predecessore cent’anni dopo, il 27 aprile 1672, e solo Clemente XI lo canonizzò poi il 22 maggio 1712.Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)Emblema: Tiara, Camauro, Bastone Pastorale  San Filippo Neri Sacerdote26 MAGGIO – Memoria Firenze, 1515 – Roma, 26 maggio 1595Fondò l’Oratorio che da lui ebbe il nome. Unì all’esperienza mistica, che ebbe le sue più alte espressioni specialmente nella celebrazione della Messa, una straordinaria capacità di contatto umano e popolare. Fu promotore di forme nuove di arte e di cultura. Catechista e guida spirituale di straordinario talento, diffondeva intorno a sè un senso di letizia che scaturiva dalla sua unione con Dio e dal suo buon umore. L’uomo che sarebbe stato chiamato “l’Apostolo della città di Roma” era figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell’attività di suo padre; ma aveva subito l’influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all’età di diciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani.
Sopra la chiesa fu costruito un oratorio in cui si tenevano conferenze religiose e discussioni e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi; là, inoltre, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate da solisti e da un coro (da qui il nome “oratorio”). San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell’Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria “in Vallicella”. Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
Ma san Filippo non sfuggì alle critiche e all’opposizione: alcuni furono scandalizzati dall’anticonvenzionalità dei suo discorsi, delle sue azioni e dei suoi metodi missionari. Egli cercava di restituire salute e vigore alla vita dei cristiani di Roma in modo tranquillo, agendo dall’interno; non aveva una mentalità clericale, e pensava che il sentiero della perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle monache. Nelle sue prediche insisteva più sull’amore e sull’integrità spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l’uomo, umiltà e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza – “riso” è una parola che compare spesso quando si tratta di san Filippo Neri.Patronato:GiovaniEtimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco

I Santi del mese 0

I Santi del mese

S. PASQUALE BAYLÒN 17 maggio (1540-1592) Questo Santo francescano, celebre per la sua devozione eucaristica, nacque nella Pasqua del 1540 in un piccolo borgo del regno di Aragona (Spagna) da poveri, ma virtuosi contadini.La madre gli insegnò già dai primi anni ad adorare Gesù presente nel SS. Sacramento dell’altare. Il padre non lo mandò a scuola, ma a fare il pastore. Il Santo poté così coltivare l’attrattiva che sentiva per la solitu­dine e la preghiera. Pasquale amava in modo speciale la SS. Vergine. Quando gli era possibile, conduceva gli armenti presso il santuario di Nostra Signora de la Sierra perché in quel luogo si sentiva più vicino alla Regina del cielo.Verso i vent’anni, Dio, che lo voleva elevare a una maggiore perfezione, gl’ispirò il desiderio della vita religiosa. Ricevette l’abito di S. Francesco il 2‑2‑1564 e rifiutò di diventare Sacerdote per santificarsi nell’adempimento degli uffici più umili e più penosi. Da quel giorno praticò la regola alla lettera dividendo il suo tempo tra la preghiera e il lavoro. Si mostrò tanto assetato di penitenze che non era capace di stare entro i limiti dell’umana prudenza. Non si nutriva che di legumi e di pane; portava sotto il cilicio intessuto di setole di porco, due ferri da cavallo, uno sul petto e l’altro sul dorso; si cingeva i fianchi con tre catene di ferro; dormiva tre ore per notte coricato per terra o appoggiato al muro della cella e passava il resto del tempo in preghiera; di giorno non faceva la siesta, tanto cara agli spagnoli, e lavorava nell’orto sotto il caldo estivo a capo scoperto. Il Santo non fu mai udito parlare male di nessuno o lamentarsi dei cambiamenti di convento ai quali ogni tanto l’ubbidienza lo costringeva. In essi trovava una eccellente occasione per considerarsi come uno straniero sulla terra. Ovunque si recava, egli conservava il suo aspetto dolce, gaio e affabile verso tutti. La gioia gli traspariva dal volto. Quando ritornava al convento dopo la questua, per buona parte della notte faceva Adorazione Eucaristica.Dio premiò l’umiltà di Pasquale con il dono dei miracoli. Dai processi canonici risulta che molte persone furono sanate da lui con un semplice segno di croce e che a tante altre predisse con esattezza il futuro. Questi celesti favori rendevano i demoni furenti contro di lui. Per spaventarlo talora gli apparivano sotto forma di bestie feroci; per ingannarlo sovente assumevano l’aspetto di Santi, della Madonna o del Crocifisso; non riuscendo a piegarlo, di frequente lo battevano con tale rabbia da lasciarlo coperto di lividure.Per i grandi miracoli che avvennero sulla tomba di Pasquale Baylón, Paolo V lo beatificò il 13‑10‑1618 e Alessandro VIII lo canonizzò il 16‑10­1690. Nel 1897 Leone XIII lo proclamò patrono dei Congressi Eucaristici. Viene raffigurato inginocchiato, con le braccia aperte, davanti a un calice, sormontato da un’ostia, sospeso per aria. SANTA RITA DA CASCIA22 maggio (1381‑1447) É tradizione che la santa sia nata verso il 1381 a Roccaporena, piccola frazione di Cascia (Perugia). Fu chiamata Margherita. Trascorse la sua giovinezza tra le pareti domestiche. Rita fin dalla fanciullezza si sentiva attratta a vivere nell’esclusivo servizio di Dio in un monastero. I genitori, quando raggiunse i quattordici anni, vollero darle un marito, che accettò per obbedienza. Sposa di un uomo violento dal quale ebbe due figli, dopo diciott’anni di angherie, Rita riuscì a convertirlo, appena in tempo prima del suo assassinio. La donna ne perdona gli autori, ma non altrettanto fanno i figli che meditano vendetta. La Santa prega allora Dio di farli morire per salvarli dal peccato mortale. E viene esaudita. Rita è quindi finalmente libera di entrare in convento. Dopo essere stata per tre volte respinta dal monastero, pregò molto S. Giovanni Battista, Sant’Agostino e S. Nicola da Tolentino i quali le apparvero “in visione” e le dissero che sarebbe entrata in monastero.Ottenuta la pacificazione della sua parentela con quella dell’uccisore del marito, Rita, nel 1407, entrò dunque a Cascia nel monastero di Santa Maria Maddalena, secondo la regola di S. Agostino, nella contemplazione e nella più dura mortificazione. Finché visse, S. Rita dovette essere particolarmente cara alle superiore e alle consorelle per la sua obbedienza. Nel monastero è conservato l’affresco del secolo XIV raffigurante Gesù in croce. È chiamato “il crocifisso della spina”. Dopo una predica sulla Passione del Signore udita dalla viva voce di S. Giacomo della Marca, la santa, mentre il venerdi santo del 1432 se ne stava raccolta in preghiera davanti al crocifisso, improvvisamente sentì lo stigma di una spina sulla propria fronte. Poté così fino alla morte, e cioè per quindici anni, prendere parte ai dolori del Figlio di Dio. Moltiplicava le preghiere e le penitenze a beneficio di tutta la società. Le furono attribuiti miracoli pure in vita e uno straordinario potere sugli ossessi. Non meraviglia quindi che, da ogni parte d’Italia, giungessero a lei pellegrini bisognosi di luce e di conforto.Un giorno le apparve il Signore insieme con la sua SS. Madre e le disse che presto l’avrebbe accolta in paradiso. Mori il 22-­5‑1447, cioè un anno dopo la canonizzazione di S. Nicola da Tolentino. La sua cella si illuminò e dal suo corpo si sprigionò un inebriante profumo che si diffuse per il monastero.S. Rita da Cascia non fu inumata, ma posta in una cassa di noce sotto l’altare dell’oratorio. Attorno alle sue spoglie ben presto si verificarono dei miracoli tanto che, nel 1457, si ritenne necessario procedere alla loro esumazione. La cassa in cui era stata deposta non misurava più di 158 cm. Evidentemente la santa era piccola di statura.Essendo stata trovata ancora intatta, fu posta in una “cassa solenne” oggi custodita dalle monache con la prima nella cella in cui visse e morì. Sul coperchio di detta cassa c’è un’iscrizione poetica e ci sono delle pitture che testimoniano inequivocabilmente come S. Rita fu stigmatizzata. Leone XIII il 24‑5‑1900 canonizzò colei che i suoi concittadini avevano preso a venerare ancora in vita e che Urbano VIII beatificò il 1‑10‑1527. Difatti la fecero raffigurare, vedova giovanissima ed elegantemente vestita. S. FILIPPO NERI26 maggio (1515‑1595) L’apostolo di Roma e il fondatore dell’Istituto dell’Oratorio passò alla storia come il buffone di Dio. A Firenze, dove nacque il 21‑7‑1515 da Francesco, fallito e deluso notaio, lo chiamavano tutti “Pippo buono” tanto lo credevano incapace di andare in collera pur essendo vivacissimo. Divenne tanto saggio che di lui fu detto: “Se fosse un religioso, sarebbe perfetto”. Gli studi di Filippo non furono eccezionali, perché era in realtà un mistico e non uno studioso.Il padre lo mandò a lavorare con il cugino a Cassino, ma lui capì che Dio lo chiamava altrove. Dopo circa sei mesi il santo abbandonò il cugino e si recò a Roma. Pregava molto e per farlo piangere e sospirare bastava la vista del crocifisso appeso alle pareti. Vendette perciò i libri e ne dette il ricavato ai poveri. Poi si mise a girare per le piazze, i negozi, le scuole e persino le banche per parlare nel modo più attraente delle cose spirituali con ogni sorta di persone. Tanti ne ritrasse dalle vie del male, tanti ne avviò alla vita religiosa. Personalmente non pensava né a farsi religioso, né a diventare sacerdo­te, per umiltà.Il Santo si mise pure a frequentare gli ospedali, e a prestare ai malati i più umili servizi. Se non trovava un Sacerdote per i moribondi, rimaneva lui al loro capezzale giorno e notte per disporli a ben morire. Più tardi ispirerà al suo penitente, S. Camillo de’ Lellis, l’idea di fondare un ordine per la cura dei malati. Dio premiò tanta carità di Filippo con doni straordinari.Per sette anni ancora Filippo continuò a svolgere il suo apostolato. Aiutato da Persiano Rosa (1548), suo confessore, la sua vita cambiò, così fondò la Confraternita dei Pellegrini e dei Convalescenti. Il santo dava il primo passo verso la sua specifica missione: l’istituzione dell’Oratorio.Con l’aiuto di persone influenti Filippo provvide al sostentamento dei pellegrini e a quello dei poveri, di studenti bisognosi e di fanciulle pericolanti. Non è improbabile che il denaro che distribuiva gli giungesse anche per vie miracolose. Non potendo Filippo predicare di continuo senza incontrare ostacoli, fu ordinato sacerdote nel 1551. Filippo invitava tutti a confessarsi di frequente e rimaneva a confessare dalla mattina fino a mezzogiorno, ora in cui celebrava la Messa. Durante il giorno, qualunque cosa stesse facendo, la tralasciava all’istante se gli dicevano che c’era un penitente ad aspettarlo. Nemmeno quand’era malato cessava di ricevere le confessioni a letto fino a che non ne ebbe assoluto divieto dai medici.La camera di Filippo divenne presto insufficiente per contenere i giovani che accorrevano a lui. Per le riunioni, con un programma questa volta più definito, scelse una soffitta della chiesa (1555), dove con i poveri e gli analfabeti affluirono anche gentiluomini e letterati.L’opera dell’Oratorio prosperò. Le riunioni, dopo tre ore di discorsi spirituali sulle vite dei Santi, si chiudevano con canti sacri in coro. Il santo appariva allora di un umore vivace, scherzoso, persino un po’ eccentrico. La gente seria aggrottò le sopracciglia a certe sue facezie e atteggiamenti strani, ma egli continuò a comportarsi così per diminuire la stima del popolo nei suoi riguardi. Personalmente era convinto che uno spirito gaio e allegro raggiunge la perfezione molto più facilmente di uno spirito triste, egoista e orgoglioso.Nel 1563 Filippo cadde gravemente malato sotto il peso delle mistiche emozioni e delle fatiche, ma non gli venne meno la certezza di guarire anche se gli somministrarono quattro volte l’estrema unzione. Per tutta la vita egli rise dei medici dicendo che la sua “malattia” era cosa che non si poteva né diagnosticare, né curare.Consumava generalmente nella propria camera i pasti frugali, dai quali erano banditi la carne, il pesce, il formaggio il latte. Là egli continuò a pregare, ad andare in estasi, a ricevere prelati e cardinali desiderosi dei suoi consigli e quanti sentivano il bisogno di mettere in ordine la propria coscienza. Sovente dava a vedere di conoscere i peccati dei penitenti prima che glieli manifestassero. La fama della sua santità si andava estendendo. Era perciò inutile che, per essere disprezzato, facesse cose strane.Negli ultimi tre anni di vita il santo visse nascosto e in preghiera quasi continua. Da una grave malattia fu liberato dalla SS. Vergine nel 1192, che gli apparve e lo rapì per aria alla presenza dei medici. Morì il 26‑5-­1595 dopo aver bruciato i suoi scritti, ricevuto la santa unzione dal cardinale Cesare Baronio e il viatico dal cardinale Federico Borromeo. Gregorio XV lo canonizzò il 12‑3‑1622. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove fu sepolto.

Santa Veronica Giuliani parla ai Sacerdoti 0

Santa Veronica Giuliani parla ai Sacerdoti

Questa notte, dopo lungo travaglio, ho avuto il raccoglimento nel quale il Signore mi ha fatto vedere una moltitudine di sacerdoti, tutti con abito sacerdotale; ma anche, nel medesimo punto, mi ha fatto comprendere che, fra essi, vi sono molti Giuda e suoi nemici; […]. In un subito, una parte di essi sono divenuti come mostri infernali e peggio che gli stessi demoni. A questa vista così spaventevole il Signore, da capo a piedi tutto grondava sangue; ed, in questo punto, mi ha comunicato che quel sangue che Lui versava, glielo facevano versare i peccati e sacrilegi che commettevano detti sacerdoti, ed erano come tante spade e pugnali, come tante ferite e colpi verso Sua Divina Maestà. E mi fece vedere quel suo prezio­sissimo sangue scorrere come un fiume per terra, acciò io vedessi la poca stima e poco conto che ne faceva chi aveva potestà di tenerlo nelle medesime mani ed anche riceverlo indegnamente, come facevano tutti quei tali che Egli mi faceva vedere.Io gli domandai se mi volesse fare intendere chi erano, ma Egli mi disse: «No, questi non si sapranno sino al dì del Giudizio. Già sono tutti condannati al fuoco eterno». Io risposi: «Sia fatta la vostra santa volontà! Ma ditemi, Signore, Voi non mi avete eletta per mezzana fra Voi e i peccatori? Ora io eccomi pronta anche a dare la vita e il sangue, per la gloria vostra e per salute di queste anime». II Signore mi disse: «Sì, tutto è vero; ma ora, per questi tali, non vi è nessun rimedio, perché di continuo, mi calpestano e mi flagellano». Così dicendo, con volto tutto severo, ha detto: «Ite, maledicti!». Oh, Dio! In un subito, li ho veduti sparire come densissimo fumo. Quelli, invece, che erano restati con la veste sacerdotale, il Signori li ha benedetti, e li ha confermati padroni del suo Corpo e del suo Sangue (D 1,926).Una volta il Signore mi fece comprendere quanto gli dispiacciono le offese che gli recano i religiosi ed, in particolare, quelli che si fanno padroni del suo Santissimo Corpo e Sangue, cioè i sacerdoti. «Questi tali – così mi disse il Signore – sono cagione di tirare al precipizio tutto il mondo, perché si servono di me, mi prendono, mi tengono nelle loro inani, non per magnificarrni, ma per farmi ogni ignominia ed oltraggio». Poi mi disse: «Mira». In un subito mi fece vedere, tutti quei tali divenuti più spaventevoli degli stessi demoni: «Non posso fare grazie a questi; no, no, no!». E, di nuovo, li scacciò da Sé, con la maledizione (D II, 9).Dopo la santa Comunione, subito fui rapita in estasi e vidi Nostro Signore Glorioso, il quale così mi disse: «Io sono il tuo Sposo; […]. Fermati in me; confermati nel mio volere e non dubitare. Sono io per te. Dimmi: Che brami?». In quel momento gli raccomandai una persona e, nello stesso istante, me la fece vedere: sembrava un demonio dell’inferno, tant’è che il Signore si copriva il volto per non guardarla. Domandai al Signore chi fosse quel mostro d’inferno ed Egli mi disse che era quel tale che io gli raccomandai. Oh, Dio! Che spavento mi diede! Non sto a dire chi esso sia; bensì che non è di questa città, ma che sta qui ed è anche un sacerdote. Iddio mi fece capire che costui aveva tutto il suo pensiero nelle cose della terra e che ambiva molto alle dignità umane, la qual cosa reca a Iddio molto dispiacere, poiché questi sono cuori attaccati alle ricchezze, in cui regna una superbia occulta che il Signore non può tollerare, specie nei sacerdoti.Capii così che Iddio sta tra le mani di questi tali come stava tra le mani di Giuda, il traditore. Subito dopo disparve tutto come denso fumo (D II, 58).Mentre raccomandavo a Dio i bisogni presenti, mi parve d’intendere che Egli era molto offeso, a causa dei “Giuda” che lo tradiscono, ogni mattina, sul santo Altare. Iniziai, allora, ad offrirgli preghiere, a domandargli perdono delle mie colpe e delle mie ingratitudini, supplicandolo, per amor mio, di non castigarli; mi esibii a patire tormenti e pene, in penitenza dei miei peccati e di quelli altrui; gli chiesi anime, tutte le anime e dicevo: «Dio mio, Voi che siete tutto amore e carità; fatemi questa grazia, deponete il castigo e perdonateci! Io mi esibisco a patire pene e tormenti per vostro amore». Detto ciò, capii che mi avrebbe fatto la grazia, ma solo per quella volta. Allora, subito replicai: «Dio mio, questa grazia la vorrei per sempre!», ma Egli così rispose: «Per adesso te la concedo; ma per sempre, no!». Il Signore era davvero offeso (cf. D III, 74).Una mattina, facendo la Comunione spirituale provai lo stesso effetto della Comunione sacramentale e fui rapita in estasi. Ricordo che Iddio mi raccomandò, in modo speciale, tutti i sacerdoti, ma sopratutto quelli che stanno in disgrazia di Dio, poiché quanti, oh, quanti ve ne sono! (D III, 420).In un’estasi, Maria SS.ma mi disse: «Figlia, […]; vi sono cristiani che vivono come le bestie; non vi è più fede nei fedeli, vivono come se Iddio non esistesse; e mio Figlio sta col flagello in mano per punirli… Oh, quanti sacerdoti, poi, e quanti religiosi e religiose offendono Dio! Tutti costoro calpestano i Sacramenti, disprezzano il Preziosissimo Sangue di Gesù e lo tengono sotto i loro piedi. Questi infettano le Comunità, le città intere; sono come appestati, hanno il nome di cristiani, ma sono peggio degli infedeli. Figlia, prega, patisci pene e fa’ che tutti facciano lo stesso, acciò Iddio deponga il flagello» (cf. D 111, 999).Al termine di una Messa, chiesi a Maria SS.ma di benedire, assieme al Padre celebrante, i miei superiori, le mie consorelle, tutti coloro che aiutano l’anima mia, il Pontefice e tutti i poveri cristiani, ed Ella così mi rispose: «Il Pontefice ne ha pochi di veri cristiani. Figlia, prega e fa’ pregare, soprattutto per i sacerdoti che trattano sì malamente mio Figlio» (cf. D III, 1196).Maria SS.ma a S. Veronica: «Figlia, sappi che ora nel mondo è venuto un vivere tale che pochi si salveranno. Tutti offendono Dio, tutti sono contrari alla legge di Dio, ma quello che più dispiace a Dio è il peccato, specie quello commesso nelle Religioni e dai sacerdoti che, ogni mattina, consacrano indegnissimamente. Oh! Quanti, oh, quanti vanno giù nell’inferno. Figlia, Iddio vuole che tu patisca e preghi per tutti costoro» (D IV, 358).Maria SS.ma a S. Veronica: «Figlia, voglio che tu descriva i sette luoghi, più penosi, che stanno nell’inferno, e per chi sono.Il primo è il luogo ove sta incatenato Lucifero, e con esso vi è Giuda che gli fa da sedia, e vi sono tutti quelli che sono stati seguaci di Giuda. Il secondo è il luogo ove stanno tutti gli ecclesiastici e i prelati di santa Chiesa, poiché essendo stati elevati in dignità ed onori hanno pervertito maggiormente la fede, calpestando il sangue di Gesù Cristo, mio Figlio, con tanti enormi peccati […]. Nel terzo luogo che tu vedesti, vi stanno tutte le anime dei religiosi e delle religiose. Nel quarto vi vanno tutti i confessori, per aver ingannato le anime, loro penitenti. Nel quinto, vi stanno tutte le anime dei giudici e dei governatori della giustizia. Il sesto luogo, invece, è quello destinato a tutti i superiori e alle superiore della religione. Nel settimo, infine, vi stanno tutti quelli che hanno voluto vivere di propria volontà e che hanno commesso ogni sorta di peccati, specie i peccati carnali» (D IV 744).Maria SS.ma a S. Veronica: «In un rapimento, fosti portata nell’inferno per subire nuove pene e, nel tuo arrivo, vedesti che precipitavano in esso tante e tante anime, ed ognuna aveva il suo luogo di tormento. Ti fu fatto conoscere che queste anime erano di varie nazioni, di tutte le sorte di stati, cioè di cristiani e d’infedeli, di religiose e di sacerdoti. Quest’ultimi stanno più vicini a Lucifero, e patiscono così tanto che mente umana non può comprenderlo. All’arrivo di queste anime, tutto l’inferno si mette in festa e, in un istante, partecipano di tutte le pene dei dannati, offendendo Dio» (D IV, 353). (…) , ,)

Santa Teresina di Gesù Bambino 0

Santa Teresina di Gesù Bambino

DIO, L’AMORE MISERICORDIOSO Il profeta Isaia ci rivela che l’ultimo giorno «il Signore condurrà il suo gregge nei pascoli, riunirà gli agnellini e se li stringerà al petto». E, come se tutte queste promesse non bastassero, lo stesso profeta, il cui sguardo ispirato s’immergeva già nelle profondità eterne, grida in nome del Signore: «Come una madre carezza suo figlio, così io vi consolerò, vi porterò sul mio petto e vi carezzerò sulle mie ginocchia». Dopo un simile linguaggio, non resta che tacere, piangere di riconoscenza e d’amore.Sì, Gesù ha le sue preferenze: ci sono nel suo giardino dei frutti che il Sole del suo amore fa mutare quasi in un batter d’occhio. Perché noi apparteniamo a questo numero? Domanda piena di mistero… Che motivazione potrebbe darci Gesù? Ahimè, la sua motivazione è che non ha motivazione!Oh, mio Dio, come siete dolce per la piccola vittima del vostro Amore Misericordioso! Persino adesso che Voi unite la sofferenza esteriore alle prove dell’anima, non posso dire: «Le angosce della morte mi hanno circondato», ma grido nella mia riconoscenza: «Sono scesa nella valle dell’ombra della morte, ma non temo alcun male, perché voi siete con me, Signore!».Vorrei cercare di mostrare con un paragone semplicissimo quanto Gesù ami le anime anche imperfette che si affidano a Lui: io immagino che un padre abbia due figli birichini e disobbedienti e che, venendo per punirli, ne vada uno che trema e si allontana da lui con terrore, pur sapendo in fondo al cuore che merita d’essere punito, mentre invece il fratello si getta nelle braccia del padre dicendo che gli spiace di averlo addolorato, che lo ama e che, per dargliene prova, d’ora in poi sarà saggio. Poi, se questo figlio domanderà al padre di punirlo con un bacio, non credo che il cuore del padre felice possa resistere alla fiducia filiale del suo bambino di cui conosce la sincerità e l’amore. Tuttavia non ignora che più d’una volta suo figlio ricadrà negli stessi errori, ma è disposto a perdonarlo sempre, se suo figlio lo prenderà sempre per il cuore.So che è necessario essere completamente puri per comparire dinanzi al Dio di ogni santità, ma so anche che il Signore è infinitamente giusto, ed è questa giustizia, che spaventa tante anime, che è invece la causa della mia gioia e della mia fiducia. Essere giusto non vuol dire soltanto esercitare la severità per punire i colpevoli, vuol dire anche riconoscere le intenzioni rette e ricompensare la virtù. Io spero nella giustizia di Dio, così come nella Sua misericordia.Ahimè, non c’è nulla che perde il suo splendore più facilmente del giglio. Ebbene, io dico che se Gesù ha detto a proposito di Maddalena che ama di più colui al quale si è perdonato di più, lo si può dire a maggior ragione, quando Gesù ha rimesso i peccati in anticipo!Come sono poco conosciute la bontà, l’amore misericordioso di Gesù! È vero che per gioire di questi tesori, è necessario umiliarsi, riconoscere il proprio niente ed è questo che molte anime non vogliono fare.Gesù è libero e nessuno ha da domandargli perché dia le sue grazie ad un’anima invece che ad un’altra.

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Santa Teresa di Gesù Bambino

DIO, L’AMORE MISERICORDIOSO Domenica 9 giugno 1895, festa della SS. Trinità, Teresa penetra più intimamente nel mistero di Dio: sperimenta in modo luminoso che Dio è Misericordia e che lei è oggetto privilegiato di questa infinita Misericordia. Come potrà manifestare la sua illimitata riconoscenza? Consapevole della sua debolezza e della inadeguatezza di qualsiasi dono, Teresa sceglie di offrirsi, come vittima, all’Amore Misericordioso.Sarà questo Amore ad animare tutto il suo cammino spirituale. Teresa quel giorno scrive il suo atto di Offerta all’Amore Misericordioso del buon Dio, che è riportato nella sezione delle preghiere nelle Opere Complete, e la cui meditazione consente di partecipare, in qualche modo, alla profonda e rivoluzionaria esperienza interiore della carmelitana di Lisieux.Da quando mi è stato dato di capire così l’amore del Cuore di Gesù, riconosco che quest’amore ha scacciato dal mio cuore ogni timore. Il ricordo dei miei errori mi umilia, mi induce a non appoggiarmi mai sulla mia forza che non è che debolezza, ma ancor più questo ricordo mi parla di misericordia e d’amore. Quando con confidenza tutta filiale si gettano i propri errori nel braciere divorante dell’Amore, come potrebbero non essere consumati definitivamente?È perché Dio è giusto che «Egli è compassionevole e pieno di dolcezza, lento nel punire e ricco di misericordia. Infatti conosce la nostra fragilità e si ricorda che non siamo che polvere. Come un padre ha tenerezza per i suoi figli, così il Signore ha compassione di noi». Ascoltando queste belle e consolanti parole del Re-Profeta, come dubitare che il buon Dio possa non aprire le porte del Regno ai suoi figli che l’hanno amato fino a sacrificare tutto per Lui?Credo che Gesù possa proprio farmi la grazia di non offenderlo più, oppure di commettere solo degli errori che non l’offendono, ma soltanto umiliano e rendono l’amore più forte.È vero che nessuna vita umana è esente da errori: solo la Vergine Immacolata si presenta assolutamente pura dinanzi alla Maestà divina. Ma Dio non si lascia vincere in generosità: come potrebbe purificare nelle fiamme del purgatorio anime già consumate dal fuoco dell’amore divino?Gesù tiene tanto al nostro cuore che, per averlo per Lui, acconsente ad alloggiare in un bugigattolo sporco e scuro. Ah, come non amare un amico che si riduce ad una così estrema indigenza, come osare ancora citare la propria povertà, mentre Gesù, da ricco che era si è fatto povero per unire la sua povertà alla nostra povertà: che mistero d’amore!Gesù ha da molto tempo dimenticato le tue infedeltà; solo i tuoi desideri di perfezione gli sono presenti per rallegrare il suo cuore.Gesù si serve di tutti i mezzi, le creature sono tutte al suo servizio ed Egli ama servisene durante la notte della vita.Ecco una bella pesca, così rosata e zuccherata che tutti i dolciari non riuscirebbero ad immaginare un sapore così dolce. Dimmi: è per la pesca che il buon Dio ha creato questo grazioso color rosa così vellutato e gradevole da vedere e da toccare? È sempre per lei che ha consumato tanto zucchero? Ma no, è per noi e non per lei. Ciò che gli appartiene, ciò che fa l’essenza della vita della pesca è il nocciolo, noi possiamo portarle via tutta la sua bellezza senza togliere il suo essere.Il buon Dio non può darmi delle prove che sono al di sopra delle mie forze. Mi ha dato il coraggio di sopportare questa prova. Oh, è davvero grande!Mi fa molto bene vedere che Gesù è sempre così dolce, così tenero verso di me! Mi sono ricordata di quelle parole che un giorno Gesù rivolse alla donna adultera: «Qualcuno ti ha condannata?» E io, con le lacrime agli occhi, gli ho risposto: «Nessuno, Signore. Né la mia piccola Madre, immagine della vostra tenerezza, né la mia suor S. G. Battista, immagine della vostra giustizia, e sento proprio che posso andare in pace, perché neppure voi mi condannerete!» Perché dunque il Buon Gesù è così “dolce” verso di me? Perché non mi rimprovera mai? Veramente c’è di che morire di riconoscenza e d’amore!

Santa Teresa d’Avila e Cristo 0

Santa Teresa d’Avila e Cristo

1. Facevo il possibile per tener presente dentro di me Gesù Cristo, nostro bene e Signore, e questo era il mio modo di orazione. Se meditavo una scena della sua vita, cercavo di rappresentarmela nell’anima.2. Ero molto devota di S. Maria Maddalena, e pensavo spesso alla sua conversione, specialmente quando mi comunicavo. Sapendo che il Signore stava allora con me, mi gettavo ai suoi piedi immaginandomi che le mie lacrime non meritassero di essere del tutto disprezzate; …e mi raccomandavo a questa santa gloriosa affinché mi ottenesse perdono.3. Questo era il mio metodo di orazione: non potendo discorrere con l’intelletto, procuravo di rappresentarmi Gesù Cristo nel mio interno, specialmente in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo, e mi pareva di trovarmi meglio. …Mi avrebbe accolta più facilmente, come persona bisognosa d’aiuto.4. Io non potevo pensare che a Cristo come uomo, ma, anche qui, per quanto leggessi della sua bellezza e contemplassi le sue immagini, non mi riusciva di rappresentarmelo se non come un cieco, o come uno che stia al buio, il quale parlando con una persona, sente di essere alla sua presenza…, così appunto mi accadeva quando pensavo a nostro Signore.5. Mentre nel fare orazione cercavo di mettermi ai piedi di Gesù Cristo nel modo che ho detto, e talvolta nello stesso atto di leggere, mi sentivo invadere d’improvviso da un sentimento così vivo della divina presenza, da non poter in alcun modo dubitare essere Dio in me ed io in Lui.6. S’immagini di trovarsi innanzi a Cristo, conversi spesso con Lui e cerchi d’innamorarsi della sua sacra Umanità, tenendola sempre presente. Gli chieda aiuto nel bisogno, pianga con Lui nel dolore, si rallegri con Lui nella gioia…, e questo non con preghiere studiate, ma con parole semplici, intonate ai suoi desideri e alle sue necessità.7. Metodo eccellente per trarre vantaggio in poco tempo. Chi cerca di vivere in così preziosa compagnia e si studia di cavarne tutti i possibili vantaggi, amando veramente il Signore a cui tanto dobbiamo, costui, a mio parere, si è già avanzato di molto.

Santa Scolastica Vergine 0

Santa Scolastica Vergine

10 FEBBRAIO – Memoria Norcia, Perugia, 480 – Montecassino, Frosinone, 547Scolastica ci è nota dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. Vergine Saggia, antepose la carità e la pura contemplazione alle semplici regole e istituzioni umane, come manifestò nell’ultimo colloquio con il suo fratello S. Benedetto, quando con la forza della preghiera “poté di più, perché amò di più”. (Messale Romano)Patronato: SuoreEmblema: Colomba, Giglio Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già “fuggendo dal mondo” verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza…
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547

Santa Maria Egiziaca 0

Santa Maria Egiziaca

Il racconto della sua vita confina spesso con la leggenda. Di sicuro era nata nel IV secolo ad Alessandria d’Egitto e si guadagnava da vivere facendo la prostituta. Fuggita da casa a 12 anni, a 29 si imbarcò su una nave di pellegrini diretta in Terra Santa. Arrivata a Gerusalemme, volle partecipare alla festa dell’Esaltazione della croce al Santo Sepolcro. Prima di entrare però fu come trattenuta da una forza invisibile mentre una voce dentro di lei diceva: «Tu non sei degna di vedere la croce di colui che è morto per te tra dolori inenarrabili». Convertitasi, andò a vivere solitaria nel deserto oltre il Giordano dove restò per 47 anni. Là fu trovata dal monaco Zosimo che le porse la santa Comunione, promettendole di tornare l’anno successivo. Quando fece ritorno la trovò però morta. Era probabilmente il 430. Secondo la tradizione la tomba sarebbe stata scavata da un leone con i suoi artigli. (Avvenire)Patronato:Prostitute pentiteEtimologia:Maria = amata da Dio, dall’egiziano; signora, dall’ebraicoEmblema:Ampolla d’unguentoÈ presente nel Martirologio Romano. Cercare di riassumere la vita di Maria, che si presenta come una composizione di Sofronio, vescovo di Gerusalemme, attribuzione contro la quale non si è potuto portare alcun argomento decisivo, è farle perdere tutto il suo sapore, la qualità principale per cui questo racconto ha potuto avere qualche interesse; in effetti il suo carattere storico è quasi inesistente anche se, come si dirà piú oltre, è stato costruito intorno ad un iniziale nucleo reale: l’esistenza di una tomba di una santa solitaria palestinese, forse proprio di nome Maria.
Zosimo, ieromonaco di qualche laura palestinese, va, secondo l’abitudine, a trascorrere una parte della Quaresima nelle profondità del deserto. Credendo dapprima ad un’allucinazione si rende ben presto conto della realtà della sua visione: una forma femminile cui l’ardore del sole ha disseccato la pelle, senza altra veste che la sua capigliatura bianca come la lana. Vedendo in questo incontro la volontà della Provvidenza, Zosimo cerca di avvicinarla e vi riesce solo sulla riva di un torrente, ma la sua interlocutrice non consente ad iniziaré ia conversazione prima che il monaco le abbia lanciato il suo mantello per coprire la sua nudità. Dopo essersi reciprocamente benedetti si mettono a pregare e Zosimo vede Maria che levita nell’aria. Il monaco dubita allora di trovarsi di fronte ad una macchinazione diabolica, ma Maria lo tranquillizza chiamandolo per nome. Incitata da lui Maria comincia a raccontare la sua vita.
Egiziana di origine, a dodici anni era fuggita dalla casa paterna per condurre a suo agio ad Alessandria la vita di peccato che l’ardone dei suoi sensi reclamava. Per diciassette anni visse in questo stato. Un giorno, vedendo dei pellegrini che s’imbarcavano per Gerusalemme, spinta dalla curiorità ed in cerca di nuove avventure, si uní al gruppo, convinta che il suo fascino le avrebbe permesso facilmente di pagarsi il prezzo del viaggio. I suoi piaceri ebbero termine a Gerusalemme il giorno della festa della Croce: ella voleva infatti come gli altri, entrare nella basilica, ma ogni volta che tentava di varcarne la soglia una forza interiore glielo impediva.
A questo punto sentì il richiamo del Giordano.
Uscendo dalla città uno sconosciuto le diede tre pezzi d’argento che le sarebbero serviti. ad acquistare pani che dovevano essere il suo ultimo nutrimento terrestre duratole per almeno diciassette anni. Giunta a sera sulle rive del Giordano ed avendo scorto il santuario di S. Giovanni Battista, ella vi fece una visita per pregare e quindi si recò al fiume per purificarsi. In seguito ricevette la Comunione eucaristica e con questo viatico iniziò il suo lungo cammino nel deserto cammino che al momento dell’incontro con Zosimo durava già da quarantasette anni.
Giunta al termine del suo racconto autobiografico Maria pregò Zosimo di ritornare l’anno dopo, la sera del giovedí santo in un luogo che ella gli indicò sulle rive del Giordano, per portarle l’Eucarestia. Zosimo fu fedele all’appuntamento e Maria traversò miracolosamente il fiume per raggiungere il monaco. Dopo essersi comunicata ed avere rinnovato l’appuntamento per l’anno successivo nel luogo del primo incontro presso il torrente, Maria riprese la sua marcia nel deserto.
Tornando l’anno dopo sulla riva del torrente Zosimo si credette da principio solo, poi scorse a terra il corpo di Maria morta, rivestito ancora del vecchio mantello da lui datole due anni prima. Una scritta sulla terra gli rivelò alcuni aspetti del mistero: “padre Zosimo sotterra il corpo dell’umile Maria; restituisci alla terra ciò che è della terra, aggiungi polvere a polvere ed in nome di Dio prega per me; sono morta nel mese di pharmouti, secondo gli egiziani, che corrisponde all’aprile dei Romani, la notte della Passione del Salvatore, dopo aver partecipato al pasto mistico”.
Zosimo capí che Maria era già morta da un anno, il giorno stesso in cui le aveva dato la s. Comunione. Si mise subito all’opera per seppellire il corpo di lei, ma non aveva altro utensile che un pezzo di legno; aveva appena cominciato a scavare che ebbe la sorpresa di trovarsi a lato un leone che si dimostrò subito in grande familiarità con lui e che in breve tempo, su richiesta del monaco, scavò una fossa sufficiente a deporre Maria. Dopo aver ricoperto di terra il corpo della santa, Zosimo ritornò al suo monastero, dove raccontò tutta la storia all’abbà Giovanni l’egumeno e ai suoi confratelli per loro edificazione.
Tutti sono concordi nel vedere in questa storia soltanto una pia leggenda, come ha scritto H. Delehave: “una creazione poetica, senza dubbio fra le piú belle di quante ci abbia lasciato l’antichità cristiana”.
Questa creazione letteraria, tuttavia, non è tutta pura invenzione, essa non è che lo sviluppo di una tradizione palestinese che vide la luce intorno alla tomba di una solitaria locale esistita realmente. In effetti, nella Vita di Ciriaco, opera di Cirillo di Scitovoli, l’autore racconta di una sua passeggiata nel deserto in compagnia di un certo abbà Giovanni.
F. Delmas, dopo un accurato controllo tra la Vita di Maria opera di Sofronio e, contemporaneamente la Vita di Paolo di Tebe, scritta da s. Girolamo (in cui la parte di Zosimo è sostenuta da un Antonio), ed il racconto del monaco Giovanni nella l’ita di Ciriaco, cosí riassume le conclusioni del suo studio: “1) il quadro generale della vita di s. Maria Egiziaca mi sembra ricalcato sulla vita di s Paolo eremita. 2) la vita di s. Maria Egiziaca mi sembra non essere altro che uno sviluppo retorico della vita di Maria inserita negli Atti di s. Ciriaco”.
Giovanni Mosco, cronologicamente posteriore a Cirillo, presenta uno svolgimento diverso della leggenda di Maria, ma malgrado le divergenze, le grandi linee dei due racconti sono abbastanza simili perché si possa concludere per l’unicità del fatto originario. al quale entrambi fanno riferimento. Sofronio, di cui abbiamo già sottolineata la dipendenza da Cirillo, ha anche preso in prestito qualche dettaglio da Giovanni Mosco, in particolare la localizzazione della scoperta di Maria nel deserto al di là del Giordano.
Non minore fu la popolarità di Maria in Occidente.

Dialogo di Gesù con un’anima 0

Dialogo di Gesù con un’anima

Santa Faustina Kowalska DIALOGO FRA DIO MISERICORDIOSO E L’ANIMA PECCATRICE– Gesù: “ Anima peccatrice, non aver paura del tuo Salvatore. Io per primo Mi avvicino a te, poiché so che tu da sola non sei capace di innalzarti fino a Me. Non fuggire, figliola, dal Padre tuo. Cerca di parlare a tu per tu col tuo Dio misericordioso, che desidera dirti parole di perdono e colmarti delle Sue grazie. Oh, quanto Mi è cara la tua anima! Ti tengo scritta sulle Mie mani. Sei rimasta incisa nella ferita profonda del Mio Cuore ”.- L’anima: “ Signore, sento la Tua voce che m’invita ad abbandonare la cattiva strada, ma non ho né la forza né il coraggio ”.- Gesù: « Sono Io la tua forza. Io ti darò la forza per la lotta».- L’anima : “ Signore, conosco la Tua santità, ed ho paura di Te ”.- Gesù: « Perché hai paura, figlia Mia, del Dio della Misericordia? La Mia Santità non M’impedisce di essere misericordioso con te. Guarda, o anima, che per te ho istituito un trono di Misericordia sulla terra, e questo trono è il tabernacolo e da questo trono di Misericordia desidero scendere nel tuo cuore. Guarda, non Mi sono circondato né da un seguito né da guardie, puoi venire da Me in ogni momento, in ogni ora del giorno voglio parlare con te e desidero elargirti le Mie grazie ».- L’anima: “Signore, ho paura che non mi possa perdonare un così gran numero di peccati, la mia miseria mi riempie di terrore”.- Gesù: « La Mia Misericordia è più grande delle tue miserie e di quelle del mondo intero. Chi ha misurato la Mia bontà? Per te sono disceso dal cielo in terra, per te Mi sono lasciato mettere in croce, per te ho permesso che venisse aperto con la lancia il Mio Sacratissimo Cuore ed ho aperto per te una sorgente di Misericordia. Vieni ed attingi le grazie da questa sorgente con il recipiente della fiducia. Non respingerò mai un cuore che si umilia; la tua miseria verrà sprofondata nell’abisso della Mia Misericordia. Perché mai dovresti litigare con Me sulla tua miseria? Fammi il piacere, dammi tutte le tue pene e tutta la tua miseria ed io ti colmerò con i tesori delle mie grazie ».- L’anima: « Hai vinto, Signore, con la Tua bontà il mio cuore di pietra. Ecco che m’avvicino con fiducia ed umiltà al tribunale della Tua Misericordia, assolvimi Tu stesso per mano del Tuo rappresentante. O Signore, sento che è discesa la grazia e la pace nella mia povera anima. Sento che la Tua Misericordia, Signore, è penetrata in me da parte a parte. Mi hai perdonato più di quanto io osassi sperare, più di quanto fossi in grado di immaginare. La tua bontà ha superato ogni mio desiderio. Ed ora T’invito nel mio cuore presa da gratitudine per tante grazie. Ho sbagliato come il figliol prodigo andando fuori strada, ma Tu non hai cessato di essermi Padre. Moltiplica con me la Tua Misericordia, poiché vedi quanto sono debole ».- Gesù: « Figlia, non parlare più della tua miseria, perché io non la ricordo più. Ascolta, figlia Mia, quello che desidero dirti: stringiti alle Mie ferite ed attingi dalla Sorgente della Vita tutto ciò che il tuo cuore può desiderare. Bevi a piene labbra alla Sorgente della Vita e non verrai meno durante il viaggio. Fissa lo sguardo allo splendore della Mia Misericordia e non temere i nemici della tua salvezza. Glorifica la Mia Misericordia ».DIALOGO FRA DIO MISERICORDIOSO E L’ANIMA DISPERATA– Gesù: « Anima immersa nelle tenebre, non ti disperare, non è ancora perduto tutto. Parla col tuo Dio, che è l’amore e la Misericordia in persona ». Ma purtroppo l’anima rimane sorda al richiamo di Dio e s’immerge in tenebre ancora maggiori.- Gesù la chiama di nuovo: « Anima, ascolta la voce di tuo Padre misericordioso ». Nell’anima si sta preparando una risposta: « Per me non c’è più Misericordia ». Ed essa precipita in tenebre sempre più fitte, in una specie di disperazione che le fa pregustare in certo modo l’inferno e la rende completamente incapace di avvicinarsi a Dio. Gesù per la terza volta parla all’anima, ma l’anima è sorda e cieca, incomincia a consolidarsi nell’ostinazione e nella disperazione. Allora incominciano in certo qual modo a sforzarsi le viscere della Misericordia di Dio e, senza alcuna cooperazione da parte dell’anima, Iddio le dà l’ultima grazia. Se la disprezza, Iddio la lascia ormai nello stato in cui essa stessa vuole stare per l’eternità. Questa grazia scaturisce dal Cuore misericordioso di Gesù e colpisce l’anima con la sua luce e l’anima incomincia a comprendere lo sforzo di Dio, ma la conversione dipende da lei. Essa sa che quella grazia è l’ultima per lei e se mostra un piccolo cenno di buona volontà – anche il più piccolo – la Misericordia di Dio farà il resto. – « Qui agisce l’onnipotenza della Mia Misericordia; felice l’anima che approfitta di quella grazia ». – Gesù: « Che grande gioia riempie il Mio cuore quando ritorni da Me. Vedo che sei molto debole, perciò ti prendo fra le Mie braccia e ti porto nella casa del Padre Mio ».- L’anima è come se si risvegliasse: « È mai possibile che ci sia ancora Misericordia per me? » domanda piena di spavento.- Gesù: « Proprio tu, bambina Mia, hai il diritto esclusivo alla Mia Misericordia. Permetti alla Mia Misericordia di operare in te, nella tua povera anima, fa’ entrare nell’anima i raggi della grazia, essi vi porteranno luce, calore e vita ».- L’anima: « Però al solo ricordo dei miei peccati sono presa dalla paura e questa paura tremenda mi spinge a dubitare della Tua bontà ».- Gesù: « Sappi, o anima, che tutti i tuoi peccati non Mi hanno ferito così dolorosamente il cuore come la tua attuale sfiducia. Dopo tanti sforzi del Mio amore e della Mia Misericordia, non ti fidi della Mia bontà ».- L’anima: « O Signore, salvami Tu, altrimenti perisco. Sii il mio Salvatore. O Signore, non sono capace di dire altro, il mio povero cuore è a pezzi, ma Tu, Signore… ». Gesù non permette all’anima di terminare la frase, ma la solleva da terra, dall’abisso della sua miseria e in un attimo l’introduce nella dimora del proprio Cuore, mentre tutti i peccati sono scomparsi in un batter d’occhio, un fuoco d’amore li ha distrutti.- Gesù: « Eccoti, o anima, tutti i tesori del Mio Cuore, prendi tutto quello che ti serve ».- L’anima: « O Signore, mi sento inondata dalla tua grazia, sento che è entrata in me una vita nuova, ma soprattutto sento il Tuo amore nel mio cuore; questo mi basta. O Signore, glorificherò l’onnipotenza della Tua Misericordia per tutta l’eternità. Incoraggiata dalla Tua bontà, Ti esprimerò tutto il dolore del mio cuore ».- Gesù: « Dì tutto, bambina Mia, senza alcuna riserva, poiché ti ascolta un Cuore che ti ama, il Cuore del tuo migliore amico ».-L’anima: « Signore, ora vedo tutta la mia ingratitudine e la Tua bontà. Tu m’inseguivi con la Tua grazia e io rendevo vani tutti i Tuoi sforzi; vedo che mi spettava il fondo stesso dell’inferno per aver sperperato le tue grazie ».- Gesù interrompe le parole dell’anima e dice: « Non rivangare la tua miseria, sei troppo debole per parlare, guarda piuttosto il Mio Cuore pieno di bontà, assorbi i Miei sentimenti e procura di acquistare la mitezza e l’umiltà. Sii misericordiosa con gli altri, come Io lo sono con te e quando ti accorgi che le tue forze diventano deboli, vieni alla sorgente della Misericordia e rafforza la tua anima e non verrai meno lungo il tuo cammino ».- L’anima: « Ormai comprendo la Tua Misericordia, che mi ripara come una nube luminosa e mi conduce alla casa del Padre mio, salvandomi dall’orribile inferno che avrei meritato non una, ma mille volte. O Signore, non sarà sufficiente per me l’eternità, per esaltare degnamente la Tua sconfinata Misericordia e la compassione che hai avuto per me ».