Stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione Santa
di Padre Enrico Zoffoli
San Pietro (1Pt 2, 9) allude ai fedeli divenuti mèmbri del Corpo mistico, animati dal suo Spirito, partecipi del suo sacerdozio. Sacerdozio regale, degno di una stirpe eletta, di una nazione santa; sacerdozio derivato dall’unico nostro Mediatore presso il Padre.
Sacerdozio, precisamente, comunicato ai mèmbri della Gerarchia e, ad un livello inferiore, a tutti i battezzati, chiamati a far propria la vita di Gesù e seguirne gli esempi, dovendo anche loro morire a se stessi ed eliminare quanto ostacola la piena influenza della grazia, la più incondizionata riconciliazione con Dio.
Anche il sacerdozio dei fedeli, dunque, dipende dal Sacrificio di Cristo, perché solo per i suoi meriti essi ottengono la grazia della penitenza o di quel pentimento dei peccati che è partecipazione alla morte espiatrice della Vittima divina.
In realtà, la stessa conversione – sempre in atto nel corso della vita – è incessante e mai definitiva negazione di sé e riaffermazione di Dio nel e per il Cristo crocifisso e risorto. Negazione che, animata dal suo Amore al Padre, è sacrificio celebrato come rinunzia, distacco, offerta totale di sé, che nella creatura apre spazi sempre più ampi e profondi al Regno di Dio.
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La Messa dunque, come è sacramento del Sacrificio di Cristo, così è Sacramento del Sacrificio dei fedeli: l’uno comprende l’altro a cui conferisce dignità e valore; come del resto soltanto il Capo risponde dell’azione delle membra.
Appunto la vitale continuità del Cristo coi fedeli spiega come il sacrificio di questi possa prolungare l’Immolazione del Calvario ed avere nell’Eucaristia l’identica espressione sensibile. Nel sacramento dell’altare, infatti, la cordiale accettazione delle prove della vita (animata dall’intenzione di espiare le colpe proprie e altrui) ha il suo rito pubblico, solenne, perché segno del Sacrificio che comprende, assorbe e valorizza il dolore umano di tutti i tempi.
I credenti, uniti in questa fede, fanno proprio il Sacrificio eucaristico, essendo certi di essere i soli veri colpevoli, tenuti ad offrirsi nell’unica Vittima gradita al Padre, e alla quale devono tutto l’amore che li associa alla sua Offerta espiatrice (Pio XII, MD 66 ss).
Tutto si concentra nel momento della CONSACRAZIONE: con Lui muoiono spiritualmente anche essi. In realtà, la distinta consacrazione del pane e del vino, mentre significa il mistero intemporale della sua morte, esprime anche quello della loro immolazione, comprendente tutte le sciagure dell’esistenza. Maria santissima si leva ed impone come modello per tutti. Non si può escludere che, dopo la Pentecoste, abbia partecipato con infinita tenerezza alla fractio panis delle prime comunità cristiane, continuando la sua missione di Corredentrice, iniziata sotto la croce. Vergine-Madre, eccelsa per la sua trasformazione d’amore in Dio, la sua offerta, ogni volta, si confuse con quella del Figlio.
Ed è sempre la consacrazione che, costituendo l’essenza del rito sacrificale, da un’epoca all’altra ha unito intorno all’altare innumerevoli martiri, apostoli, contemplativi, con la moltitudine anonima dei santi d’ogni categoria, partecipi dell’agonia della croce.
Solo il Sacramento del Sacrificio ha ispirato la vocazione di Istituti votati alla riparazione. L’Ostia consacrata, rivelatrice della perpetua Offerta del Calvario, ha sempre stimolato ad una penitenza che, ottenendo la conversione dei peccatori, attua e prolunga nel tempo la mediazione salvifica della Vittima divina.
Singolare la missione affidata dalla Provvidenza ad alcuni, destinati a rivelare al mondo una Passione rivissuta nell’angoscia dello spirito e negli strazi della carne. È il caso degli stigmatizzati, da S. Francesco d’Assisi al P. Pio da Pietrelcina. Sublime il riscontro della loro umanità crocifissa col rito eucaristico, richiamato e come commentato con impressionante realismo da sofferenze che ridestano la fede nel mistero celebrato sui nostri altari.
In effetti, lo stigmatizzato rivela ai contemporanei la Passione cruenta di Cristo, a Lui procurata dal peccato commesso ogni momento, come, analogamente, la rivela la distinta consacrazione del pane e del vino nella Messa… Lo stigmatizzato, a suo modo, è un nuovo sacramento del Crocifisso e, come tale, vive immerso nel mistero della liturgia sacrificale, rendendo sensibile la perenne agonia del Corpo mistico.
Ed è appunto la partecipazione all’Offerta del Calvario che costituisce l’esercizio del regale sacerdozio dei fedeli, sì da imprimere alla loro vita un orientamento volto ad esplicitare e sviluppare le virtualità del loro Battesimo, quale incorporazione al Cristo, Morto e Sepolto, carico di tutta la potenza esplosiva della Risurrezione.
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II Sacrificio della Messa si risolve necessariamente in convito, perché Gesù ne ha istituito il sacramento in base all’utilizzazione del pane e del vino, fondamentali elementi nutritivi dell’organismo umano.
La consacrazione, mutandone interamente la sostanza, ne lascia inalterate le proprietà naturali (o accidenti), quali segni indicativi del Cristo-Vittima, ossia simboli di morte (Pio XII, MD 57).
Ora, precisamente sotto i medesimi Egli rende possibile un convito che realizza la nostra misteriosa COMUNIONE CON LUI, IMMOLATO, NON RISORTO. Pur essendo attualmente vivo, glorioso, impassibile, tuttavia ha preferito farci condividere non la propria condizione d’impassibilità e di vittoria, bensì la sua volontaria disfatta, lo stato d’infinita umiliazione a cui l’ha ridotto la spontanea obbedienza d’amore al Padre.
Nutrendoci di Lui, restiamo assimilati a Lui, Vittima sacrificata, ossia «moriamo con Lui» (2Tm 2, 11). «Noi – scrive s. Fulgenzio – partecipiamo al corpo e al sangue del Signore, noi mangiamo il suo pane e ne beviamo il calice. Perciò, dobbiamo morire al mondo e condurre una vita nascosta con Cristo in Dio e crocifiggere la nostra carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze (…).
Tutti i fedeli (…) inebriati dal [calice dell’amore del Signore], mortificano le loro membra e, avendo rivestito il Signore Gesù Cristo, non si danno pensiero dei desideri della carne e non fissano lo sguardo sulle cose che si vedono, ma su quelle che non si vedono…» (Contro Fabiano, c. 28, 16-19).
Dunque, «siamo morti e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 4); ed è appunto a questo livello che si verifica la nostra comunione eucaristica quale autentico convito dell’amore, che costituisce l’essenza della vita soprannaturale…; precisamente l’unico convito che possa alimentare la vita della grazia, germe della gloria, principio di risurrezione.
Il sacramento, offrendosi ai sensi, ne è il simbolo più eloquente, rivelando il prodigio della ricuperata intimità di ciascuno con Dio nella sua ineffabile perdita nel Cuore di Cristo; dove – riconciliato col Padre – può ammirare, ringraziare, supplicare, ottenere tutto.
È in questa comunione con Dio nel Cristo che i fedeli scoprono e sperimentano la propria identità di mèmbri del Corpo mistico, nel quale tutti si ritrovano irradiati dall’unica luce del Verbo, travolti dall’unico soffio vitale dello Spirito.
Perciò, convito di festa; festa però tutta intima, contenuta, perché scaturita dalla «vita nascosta col Cristo», Vittima di amore, carico di tutta la gloria riservata agli eletti: «Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui…»; «morti al peccato, ma viventi per Dio in Cristo Gesù» (Rm 6, 8-11).
Così, la liturgia eucaristica, nei due distinti momenti della consacrazione e della comunione, celebra le rispondenti fasi dell’opera salvifica: la morte nel Sacrificio di espiazione, e la rinascita nella gioia della redenzione.
Separare i due momenti significa distruggere la Messa Cattolica. Se la morte non è fine a se stessa, perché la giustizia di Dio è finalizzata unicamente dalla sua misericordia, la vita non può ritenersi un d o n o del tutto gratuito, perché la misericordia di Dio è condizionata alla sua giustizia. Si tratta infatti di una vita che emana dal merito infinito di una morte decretata dall’Amore, subìta dall’Amore, ricca di tutta la potenza ri-creatrice dell’Amore.
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