IL VANGELO DI GESÙ CRISTO

1. Il Vangelo e i Vangeli. Il vocabolo Vangelo significa “buona notizia”, “lieto annunzio” e deriva dal greco. Nel linguaggio biblico dell’Antico Testamento significava anzitutto annuncio di vittoria, e i profeti l’adoperavano per indicare il compimento delle promesse messianiche.Gesù si appropriò del termine per dichiarare l’avverarsi in lui delle profezie e del Regno di Dio. “Dopo che Giovanni fu arrestato, nota l’evangelista S. Marco, Gesù venne in Galilea, predicando il Vangelo di Dio. Diceva: il tempo è compiuto, e il Regno di Dio è giunto. Convertitevi e credete al Vangelo” (1, 14-15)“Evangelizzare” significa quindi, già durante la vita di Gesù, dare la lieta notizia che la salvezza è giunta, che Dio ha realizzato le sue promesse. A Nazareth, all’inizio dell’attività pubblica, Gesù, riferendo a sé profezie di Isaia e Sofonia, proclamò nella sinagoga davanti ai suoi compaesani: Lo Spirito del Signore è sopra di me,per questo mi ha consacratoe mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio,ad annunziare ai prigionieri la liberazionee il dono della vista ai ciechi;per liberare coloro che sono oppressie inaugurare l’anno di grazia del Signore (Lc 4, 18-19)Dopo la morte di Gesù il vocabolo diventa usuale e tipico in S. Paolo per designare l’annuncio della morte e risurrezione di Gesù, principio di redenzione e liberazione per ogni uomo. Il vocabolo riveste perciò nella bocca di S. Paolo una carica di entusiasmo, e il “Vangelo” riceve una titolatura gloriosa: “Vangelo di Dio”, “Vangelo di Cristo”, “Vangelo del Regno”, “Vangelo del Figlio di Dio”, “Vangelo della grazia di Dio”, “Vangelo della gloria di Cristo”, “Vangelo della pace”, “Vangelo della gloria”, “Vangelo della salvezza”. Da notare che per S. Paolo il Vangelo non è ancora un libro, ma parola viva portata dagli Apostoli e accompagnata da un’energia divina avente la capacità di trasformare i cuori preparati a riceverla. Ecco come ne parla ai Tessalonicesi, verso l’anno 50, durante il secondo viaggio missionario: “Il nostro Vangelo non vi è stato annunziato soltanto a parole, ma anche con potenza, con effusione dello Spirito Santo e con piena convinzione” (1Ts 1,5).Secondo quanto si legge alla fine del Vangelo di S. Marco, Gesù prima di accomiatarsi dai suoi ordinò loro: “Andate per tutto il mondo e annunciate il Vangelo (letteralmente: “portate la lieta notizia”) a tutte le creature. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (16,15). Il Vangelo deve dunque essere annunciato, per ordine di Gesù, su tutta la terra. A designare quelli che lo propagano venne subito coniato il termine “evangelisti”, e la loro azione sarà detta “evangelizzazione”. L’annuncio riguarda l’avvento del Regno nella persona storica di Gesù di Nazareth, e soprattutto la sua vittoria pasquale sopra il peccato e la morte.Per questo dall’età apostolica fino a oggi i vocaboli “Vangelo” ed “evangelizzare” hanno sempre conservato un’evocazione missionaria, significando ad un tempo notizia di qualcosa di nuovo, di inaudito, di gratuito che viene offerto agli uomini, e insieme invito pressante a riceverlo, convertendosi, uscendo fuori dall’ignavia e dal torpore dell’esistenza. Si veda per esempio come si esprime Origene nell’Omelia 7 dedicata al libro di Giosuè. Commentando il pittoresco episodio della caduta delle mura di Gerico al suono delle trombe dei sacerdoti ebrei per ordine di Giosuè, aggiunge: “Ora viene il nostro Signore Gesù Cristo, la figura del cui arrivo è già prima in quel Giosuè figlio di Nun; e manda i suoi sacerdoti, cioè i suoi apostoli, con trombe facili a portarsi da un luogo all’altro, cioè con la eccellente e celeste dottrina del Vangelo. Il primo a lanciare i suoi squilli di tromba è Matteo nel suo Vangelo. Suonano poi, ognuno con la propria tromba sacerdotale, Marco, Luca e Giovanni. Anche Pietro fa squillare la tromba delle sue epistole; anche Giacomo e Giuda. Ciò nonostante anche Giovanni continua ancora a far squillare la tromba con le sue epistole e con l’Apocalisse, e Luca con la storia delle imprese degli Apostoli. Venendo poi ultimo… Paolo e lanciando irresistibili squilli con le trombe delle sue 14 epistole contro le mura di Gerico, abbatté, scalzandole dalle fondamenta, tutte le macchinazioni dell’idolatria e i saccenti sistemi dei filosofi”.Questa pagina singolare, scritta nella prima metà del secolo III d.C. (Origene infatti morì nel 253 a seguito degli strapazzi subiti in prigione durante la persecuzione di Decio) ci attesta, tra l’altro, che a quel tempo si distingueva già nella Chiesa tra “Vangelo” e “Vangeli”, che cioè, oltre al lieto annuncio dato a viva voce, esistevano ormai quattro libri attribuiti agli apostoli (Matteo e Giovanni) o a loro discepoli (Marco e Luca). Potremmo chiamarli “i quattro annunzi”, nei quali risuonava in maniera caratteristica e differenziata secondo gli autori la notizia dell’avvenimento messianico di Gesù. Ireneo, vescovo di Lione, che era nato verso il 130 d.C.Nell’Asia Minore dove fu allievo di S. Policarpo, il quale a sua volta era stato discepolo di S. Giovanni, ci dà questa testimonianza degna di fede: “Matteo compose il Vangelo per gli Ebrei nella loro lingua mentre Pietro e Paolo a Roma predicavano il Vangelo e fondavano la Chiesa. Dopo la loro morte Marco, discepolo e segretario di Pietro, anch’egli ci trasmise per iscritto quanto era stato oggetto della predicazione di Pietro. E Luca, seguace di Paolo, compose un libro di quel Vangelo predicato dall’Apostolo. In seguito anche Giovanni, discepolo del Signore e che posò il capo sul petto di lui, egli pure compose un Vangelo durante la sua permanenza ad Efeso, nell’Asia” (Adversus haereses, 3,1). Nella medesima opera (3,11) lo stesso Ireneo illustra già i simboli attribuiti a ciascuno dei quattro evangelisti: il leone (Giovanni), il vitello (Luca), l’uomo (Matteo), l’aquila (Marco), una simbologia che assumerà qualche variante in S. Girolamo, il quale attribuisce l’aquila a Giovanni e il leone a Marco, e come tale verrà recepita dalle arti figurative.A partire da S. Ireneo, cioè dalla seconda metà del secondo secolo, si parla ormai correntemente nella Chiesa di Vangelo e di Vangeli per indicare sia l’annuncio orale, sia il messaggio scritto, sia i quattro testi evangelici. “Quanto è stato scritto da quattro, afferma Origene, è un unico Vangelo”. Ireneo parla di “Vangelo quadriforme”; a sua volta Eusebio di Cesarea conia l’espressione “sacra quadriga dei quattro Vangeli”, mentre S. Agostino preferisce l’appellativo “quattro libri di un unico Vangelo” (Trattato su S. Giovanni, 36).

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