Categoria: SANTI

Sacerdote e dottore della Chiesa 0

Sacerdote e dottore della Chiesa

San Tommaso d’Aquino 28 GENNAIO – Memoria Aquino, Frosinone, 1225 – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274 Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Messale Romano)Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, StudentiEtimologia: Tommaso = gemello, dall’ebraicoEmblema: Bue, Stella S. Tommaso, nato verso la fine del 1225 dal conte d’Aquino, nel castello di Roccasecca, all’età di 18 anni, contro la volontà del padre e addirittura inseguito dai fratelli che avrebbero voluto sequestrarlo, entrò nell’ordine dei Predicatori di S. Domenico. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di S. Alberto Magno, e poi a Parigi. Nello studio parigino da studente divenne docente di filosofia e teologia. Tenne cattedra anche ad Orvieto, Roma e Napoli.Mite e silenzioso (a Parigi lo avevano soprannominato “il bue muto”), obeso di costituzione, contemplativo e devoto, rispettoso di tutti e da tutti amato, Tommaso era soprattutto un intellettuale. Costantemente immerso negli studi, perdeva facilmente la nozione del tempo e del luogo: durante una traversata in mare non avvertì neppure la terribile burrasca e il forte rollio della nave sbattuta dai flutti, tant’era immerso nella lettura. Ma le sue non furono letture sterili né fine a se stesse. Il suo motto, “contemplata aliis tradere”, partecipare agli altri i frutti della propria riflessione, si tradusse in una mole di libri che hanno del prodigioso, se si tiene presente che la morte lo colse all’ancor giovane età di 48 anni.Morì infatti all’alba del 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si recava al Concilio di Lione, convocato dal B. Gregorio X. L’opera sua più celebre è la Summa Theologiae, dallo stile semplice e preciso, di una chiarezza cristallina, unita a una straordinaria capacità di sintesi. Quando Giovanni XXII lo iscrisse nell’albo dei santi, nel 1323, a quanti obiettavano che Tommaso non aveva compiuto grandi prodigi nè in vita nè dopo morte, il papa rispose con una frase famosa: “Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.Il primato dell’intelligenza, la chiave di volta di tutta l’opera teologica e filosofica del Dottore angelico (come venne denominato dopo il XV secolo), non si risolveva in un astratto intellettualismo, fine a se stesso. L’intelligenza è condizionata e condizionante l’amore. “Luce intellettual piena d’amore amor di vero ben pien di letizia…”, così Dante, uno dei primi tomisti, traduce in poesia il concetto tomistico di intelligenza-beatitudine… Il pensiero di S. Tommaso è stato per secoli la base degli studi filosofici e teologici dei seminaristi, ed ha conosciuto una singolare rifioritura proprio nei nostri tempi ad opera di Leone XIII e Jacques Maritain. E forse particolarmente attuali, più che le grandi Summae, sono proprio gli Opuscoli teologico-pastorali e gli Opuscoli spirituali, sempre ristampati.

Conferenza del 1921 sull’importanza della buona stampa cattolica 0

Conferenza del 1921 sull’importanza della buona stampa cattolica

Il presente tema è troppo ampio pérché io possa esaurirlo sotto tutti i punti di vista in questa conferenza. Mi limiterò soltanto all’azione del­la parola, e più precisamente della parola stampata, all’azione della stampa.In effetti, già cento anni fa’, quando erano ancora pochi quelli che sapevano leggere, Napoleone affermava giustamente: «La stampa è la quinta potenza del mondo». Ci sono persone che hanno compreso molto bene l’importanza della stampa e la usano per distruggere la Chiesa Cattolica. Noi dobbiamo usare la buona stampa cattolica per convertire i peccatori, perché ci sono persone che usano la stampa per distruggere ogni religione, specialmente quella cristiana.In una riunione di persone facoltose, ci fu chi disse: «Considerate inutile ogni cosa, inutile il denaro, inu­tile la stima: la stampa è tutto. Con la stampa in mano avremo tutto». Successivamente uno propose: «Finché i giornali del mondo non saranno nelle nostre mani, tutte queste cose non ser­viranno a nulla. Mettiamoci bene in testa l’undicesimo comandamento: ‘Non sopporterai al di sopra di te nessuna stampa estranea, per poter do­minare a lungo’».Seguendo queste «parole d’ordine» essi si sono messi al lavoro con grande impegno e, purtroppo, hanno già realizzato moltissime cose. Una parte notevole, se non addirittura la maggioranza dei quotidiani più dif­fusi, si trova nelle loro mani. Basti dire che, già all’inizio di questo se­colo, nella tanto «cattolica» Austria, ben 360 pubblicazioni nella sola lingua tedesca combattevano contro la Chiesa, 83 delle quali venivano pubblicate perfino ogni giorno. La tiratura della stampa cattiva raggiun­geva i due milioni di copie, di cui 1.200.000 spettavano ai quotidiani. Quanto alla Germania, il critico letterario Bartels scriveva che due terzi, se non tre quarti, delle pubblicazioni periodiche appartengono, agli ebrei; in Ungheria 800 riviste su 1.000 si trovano nelle mani degli ebrei. Inol­tre essi si sono impadroniti di quasi tutte le agenzie telegrafiche, per mezzo delle quali dirigono anche altre pubblicazioni. La sola agenzia Reuter di Londra rifornisce di notizie 5.000 quotidiani; l’agenzia Stefani di Roma tutti i quotidiani italiani; l’agenzia Havas di Parigi quelli fran­cesi, spagnoli e belgi; l’agenzia Wolff di Berlino tutti quelli tedeschi, mentre l’agenzia «Associated Press» di New York rifornisce i quotidiani americani.Il funesto modo di procedere dell’efficace attività della stampa cat­tiva ci viene presentato da p. Abel, gesuita, noto apostolo di Vienna, nel seguente esempio, assai eloquente. Una volta egli fu chiamato presso un ammalato. Dopo aver scorto il sacerdote, il moribondo gli indicò una intera catasta di giornali ammucchiati in un angolo della stanza e prese a narrargli la propria storia: «Guardi, padre, quello è il più grande nemico della mia vita. Ho avuto dei pii genitori, che mi hanno educato bene, tanto che anche durante gli studi universitari rimasi un buon cattolico. Dal momento in cui diventai medico, credetti opportuno abbo­narmi ad una cosiddetta pubblicazione per il ceto intellettuale, vale a dire ad una rivista ebrea. Nelle prime quattordici settimane mi irrita­rono i continui assalti che questo quotidiano sferrava contro la mia fe­de, ma in‑seguito divenni indifferente e al termine di un anno avevo abbandonato tutte le pratiche religiose ed ero divenuto miscredente e lo sono stato proprio fino a questo momento, nel quale la grazia divina sta ravvivando nuovamente la mia fede». Non diversamente agisce la stampa anche tra il popolo.E giustamente si lamenta lo scrittore popolare Wetzel: «Osservate il mondo d’oggi: come è cambiato negli ultimi decenni! Chi semina l’in­credulità in mezzo al popolo? Chi gli toglie la speranza del paradiso e fa si che questo popolo cerchi la propria felicità nei piaceri terreni e nei godimentí?,’Chi ha soffocato la coscienza nei cuori? Chi ha violato la legge dello stato, ha perturbato l’ordine pubblico, tanto che sempre più frequentemente si ripetono crimini di ogni genere?! Tutto questo è opera della stampa quotidiana ostile alla Chiesa. In alcune delle mag­giori città europee tutta una schiera di scribacchini pagati profumata­mente riversa quotidianamente tutto il proprio fiele su tutto ciò che e cattolico. Centinaia di notiziari e di quotidiani ripetono la stessa cosa e in modo tale che questo veleno si insinua con forza di giorno in giorno in centinaia di migliaia di famiglie, avvelenando milioni di anime. Così lavora la gigantesca macchina della stampa quotidiana, che si è posta a servizio della miscredenza e dei cattivi costumi».Considerando l’enorme vastità del male provocato dalla stampa, Las­galle, pur essendo socialista, non può trattenersi dal condannarla: «Nella sua falsità, vigliaccheria e immoralità ‑ scrive egli ‑ essa probabilmente viene superata soltanto dalla propria stoltezza. Se questa stampa conti­nuerà ancora per una cinquantina d’anni a imperversare in questo modo e se contemporaneamente non avverrà un cambiamento nella nostra stampa, lo spirito del popolo resterà completamente avvelenato. Questo è il più grande crimine che io conosca».É tempo ormai, e il più opportuno, che si attui questo cambiamento. Il primo passo per intraprendere tale cambiamento, tuttavia, è un riso­luto boicottaggio della stampa cattiva; successivamente l’appoggio a quel­la buona. Sono amare, a questo proposito, le parole di Wetzel: «La stampa atea non avrebbe mai raggiunto un incremento di questo genere se milioni di cattolici non avessero dato il. loro appoggio con l’abbonamento o anche con la collaborazione diretta alle riviste e ai   quotidiani ostili alla Chiesa e cosiddetti indipendenti».Di queste cose parla il vescovo Zwerger (1884): «Chi spende denaro per la stampa cattiva combatte contro la Chiesa e non può chiamarsi vero cattolico»; mentre il vescovo di Magonza, Ketteler, si spinge oltre e dichiara che a chi è indifferente nei confronti della stampa, non ha il diritto di chiamarsi figlio fedele della Chiesa.Il Cardinale Nagl scrive nel 1911: «É dovere di ogni cattolico schie­rarsi in difesa della stampa cattolica e sostenerla con la preghiera, con la parola e con l’azione». Durante il congresso dei giornalisti cattolici, svoltosi nel 1910, l’arcivescovo di Saragozza [mons. Giovanni Soldevila y Romero] non esitava ad affermare: «Ci sono molti cattolici ricchi che adoperano le loro ricchezze per fondare nuove chiese e conventi, o per adornarle di quadri di Santi. Indubbiamente è una cosa bellissima! Ma, purtroppo, una disgrazia può distruggere tutto questo, mentre i frutti di un buon giornale quotidiano sono semplicemente indistruttibili. Non sarebbe meglio, quindi, fondare dei quotidiani a grande tiratura per il bene del popolo? Al giorno d’oggi un quotidiano è un cannone che spa­ra rapidamente. Dio vuole cosi!».Su questo problema i Pontefici non sono di opinione diversa.Già Pio IX affermava: «É dovere santo di ogni cattolico sostenere la stampa e diffonderla in mezzo al popolo. La buona stampa è l’opera più utile, che semina immensi meriti»; e Leone XIII: «La stampa cattiva ha rovinato la società cristiana, perciò è necessario contrapporre ad essa una stampa buona. I cattolici non devono stancarsi nel lavorare a van­taggio della loro buona stampa, tenendo presente che la buona stampa è una missione continua»parlando poi. (il 21 febbraio 1879) ai redattori cattolici, affermava: «Siamo convinti che i nostri tempi esigono proprio questi mezzi (le pubblicazioni cattoliche) ed energici difensori… Gli uo­mini della sovversione si sono sforzati di diffondere in mezzo al popolo tutta una serie di quotidiani, il cui scopo principale è di contestare i principi delle verità di fede, di diffamare la Chiesa è di inculcare funeste convinzioni nelle anime… Ma poiché la pubblicazione di giornali quo­tidiani è riconosciuta come il mezzo principale per questa azione nei nostri tempi, di conseguenza gli scrittori cattolici hanno oggi il dovere principale di trasformare questo mezzo ‑ di cui i nemici si servono per mandare in rovina la società e la Chiesa ‑ in mezzo di salvezza per il popolo e utilizzarlo per gli scopi di difesa della Chiesa».Il Santo Padre Pio X scriveva nel 1905 ai vescovi messicani: «A pro­posito dei quotidiani e dei giornali, vorrei convincere una volta per tut­te coloro che riflettono realisticamente, che bisogna impegnarsi con tutte le forze a far si che i cattolici abbiano tra le mani soltanto riviste e gior­nali veramente cattolici. Al giorno d’oggi questo è, secondo il mio pa­rere, il problema più importante».Nel 1908, poi, parlando nel corso di un’udienza ad ecclesiastici, si espresse ancor più energicamente: «Né il popolo né il clero si rendono conto dell’importanza della stampa. Dicono che in passato la stampa non esisteva, e non comprendono che i tempi sono cambiati. É cosa buona edificare chiese, predicare, fondare missioni e scuole, ma tutte queste fatiche saranno vane se trascuriamo l’arma più importante dei no­stri tempi, vale a dire la stampa».E il Cardinale di Pisa [Pietro Maffi] aggiunge: «Voi fate le vostre pre­diche alla domenica, mentre i giornali le fanno ogni giorno, ogni ora. Voi parlate ai fedeli in chiesa, mentre il giornale li segue in casa. Voi parlate mezz’ora, oppure un’ora, mentre il giornale non desiste mai dal parlare».Da parte della società domina una grande mancanza di conoscenza del­l’importanza della buona stampa, mentre la disponibilità ad offrire un aiuto finanziario per rimettere in piedi la stampa cattolica in Polonia si di­mostra insufficiente. I nemici della Chiesa possiedono milioni e miliardi (di dollari, ad esempio), mentre colui che opera nel campo della stampa cattolica non può aumentare le forze per perfezionare e potenziare il proprio lavoro, poiché deve semplicemente lottare per assicurare l’esi­stenza materiale alla,propria attività editoriale. Abbiamo, inoltre, pochi laici sufficientemente esperti, per poter lavorare con la penna in campo cattolico; anche per questo motivo da noi il patrimonio editoriale cat­tolico è ancora molto, molto modesto. Preparare pure dei lavoratori laici e assicurare l’esistenza materiale alle case editoriali: ecco qual è, for­se, il problema più scottante nell’attività della stampa.Inoltre, anche la distribuzione è troppo debole. Sono pochi, infatti, coloro che considerano la diffusione della buona stampa un loro per­sonale dovere. Vive cristianamente, chi fa’ apostolato, chi opera per fare conoscere Gesù e l’Immacolata e convertire i peccatori. Tanti cattolici non fanno proprio nulla per Gesù e per l’Immacolata.Poi, la grande mancanza di biblioteche pubbliche, sale di let­tura, biblioteche circolanti, librerie sinceramente cattoliche. Il cuore sof­fre perfino, quando si vedono nelle vetrine delle biblioteche cittadine dei libri chiaramente scandalosi, mentre all’interno dei locali si nota una lunga coda di giovani.Piaccia a Dio che nell’imminente avvenire non ci siano città, non ci siano villaggi in cui non si trovino biblioteche e sale di lettura per libri buoni e riviste, in conveniente numero, a bassissimo prezzo e magari gratuite. Sorgano ovunque dei circoli che si assumano l’impegno di distribuire e di diffondere la buona stampa, e in breve tempo la faccia della terra si trasformerà. Inoltre, coloro ai quali Dio ha concesso una certa scorrevolezza nell’uso della penna e una propensione e capacità in qualsiasi settore della letteratura, si uniscano possibilmente in circoli particolari e si servano di questi doni di Dio per produrre la maggior quantità possibile di buona stampa in ogni campo della pubblicistica. Evidentemente, non ci si dovrebbe restringere al soli fedeli, ma scrivere anche per gli acattolici e offrire loro un buon alimento spirituale.

Vocazione e santità di San Giuseppe 0

Vocazione e santità di San Giuseppe


Cominciamo con questa meditazione, un’approfondita conoscenza del santo Patriarca che ebbe sulla terra il compito di occuparsi di Gesù e di Maria. In ognuna di queste domeniche cercheremo di meditare la vita di san Giuseppe, ricca di insegnamenti, ravviveremo la devozione per lui e ci affideremo al suo patrocinio.San Giuseppe, dopo Maria, è il più grande dei santi in cielo, così come ci ha sempre insegnato la dottrina cattolica (1). L’umile falegname di Nazaret supera in grazia e beatitudine i patriarchi, i profeti,san Giovanni il Battista, san Pietro, san Paolo, tutti gli apostoli, i santi martiri e i dottori della chiesa (2). Nella Preghiera eucaristica I del Messale (il Canone romano) occupa il primo posto dopo la Madonna.Al santo Patriarca sono stati affidati, in modo reale e misterioso, i cristiani di ogni epoca. E questo che esprimono le bellissime Litanie di san Giuseppe approvate dalla Chiesa, che riassumono tutte le sue prerogative: san Giuseppe, «Inclita prole di David, Luce dei Patriarchi, Sposo della Madre di Dio, Custode purissimo della Vergine, Modello degli operai, Decoro della vita domestica, Custode dei Vergini, Sostegno delle famiglie, Sollievo dei miseri, Speranza degli infermi, Patrono dei moribondi, Terrore dei demoni, Protettore della santa Chiesa»…Eccetto Maria, a nessun’altra creatura possiamo rivolgere tante lodi. La Chiesa intera riconosce in san Giuseppe il suo protettore e patrono. Questo patrocinio «è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa degli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei “paesi e nazioni dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti”, e che “sono ora messi a dura prova”. Per portare il primo annuncio di Cristo e per riportarlo là dove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale “virtù dall’alto” (cfr Lc 24, 49; Atti 1, 8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall’intercessione e dall’esempio dei suoi santi» (3). In modo specialissimo del più grande di tutti.Lungo le sette settimane durante le quali ci prepariamo alla sua festa, possiamo rinnovare e arricchire questa solida devozione e ottenere dal santo Patriarca molte grazie a aiuti. Saranno giorni per avvicinarci di più a lui, per frequentarlo e amarlo. «Ama molto san Giuseppe, amalo con tutta l’anima, perché è la persona, assieme a Gesù, che ha amato di più la Madonna e che più è stato in rapporto con Dio: colui che più lo ha amato, dopo nostra Madre.Merita il tuo affetto, e ti conviene frequentarlo, perché è Maestro di vita interiore, ed è molto potente presso il Signore e presso la Madre di Dio» (4).In modo particolare in questi giorni approfitteremo del suo potere di intercessione, raccomandandogli ciò che più ci preoccupa, ciò di cui abbiamo maggior bisogno.

STATUE ED IMMAGINI 0

STATUE ED IMMAGINI

Padre Giuseppe Da Corlo Quello delle immagini è uno dei temi preferiti dalla propaganda anticattolica dei protestanti (e dei testimoni di Geova che sono una sètta separata dei protestanti Avventisti). Una delle prime cose che impongono alle vittime di questa loro propaganda è la distruzione di tutte le immagini sacre. Sarebbero idoli, opera diabolica. Come prova citano Esodo 20, 2-5; Levitico 19, 4; Numeri 33, 51-52; Deuteronomio 4, 15-19 e 27, 14-45. Tra i profeti citano Isaia 44, 12-17 e 46, 5-9 ed anche Geremia 10, 2-6. Dei Salmi citano il salmo 97, 1. salmo 115, 3-4 e salmo 135, 13-18.Questi sono i testi biblici che, secondo i protestanti, proibiscono le immagini e le statue. Passiamo ora alla spiegazione, seguendo il consiglio di san Paolo che Paolo che diceva: “Esaminate ogni cosa e ritenete ciò che è buono” (1 Tessalonicesi 5,21).Come ogni onesto lettore della Bibbia sa, per una retta spiegazione e comprensione della Parola di Dio, bisogna sempre leggere e spiegare i singoli testi nel contesto. Bisogna cioè considerare tutto ciò che l’autore sacro scrive prima dopo il testo citato, le circostanze in cui lo scrive, le parole che usa.Quasi sempre la retta comprensione dei testi biblici dipende dall’accurata conoscenza ed analisi del contesto. Ignorarlo o non tenerne conto, cioè strappare i singoli testi dal loro contesto e spiegarli in modo arbitrario e capriccioso, equivale a tradire la parola di Dio. Questo fanno spesso i nemici della Chiesa cattolica.Nel caso che stiamo analizzando, il contesto ci assicura che la costante e severa proibizione delle immagini e delle statue, che ricorre nei testi biblici sopra citati, ha come oggetto l’idolatria cioè l’adorazione di Dei pagani o idoli al posto dell’unico Dio della Bibbia.Le immagini e le statue proibite nella Bibbia sono rappresentazioni di divinità pagane. Anzi alcune volte gli antichi pagani credevano che l’immagine o statua fosse proprio un dio da adorare. Di tutto questo la Bibbia ci dà preziose informazioni. Alcune volte quelle immagini e quelle statue avevano forma umana, erano cioè “figura di quanto è in basso sulla terra” (Esodo 20, 4), erano rappresentazioni di maschi e di femmine mai esistite. Nella Bibbia si parla spesso di Astarte e di Baal, di cui si adoravano le statue (1 Samuele 7, 3-4 e 12, 10).Molto spesso gli idoli avevano la forma di animali terrestri come il toro (salmo 106, 19-20) o celesti come lo sparviero o di rettili come il serpente o acquatici come i pesci ed il coccodrillo. Da qui le proibizioni nel Deuteronomio 4, 17-18: “Non peccate facendovi immagine di qualsiasi animale terrestre di qualsiasi, uccello che vola nel cielo, di qualsiasi rettile che striscia sul suolo, di qualsiasi pesce che si trova nell’acqua”.Vi era poi un tipo di idolatria astrale, cioè erano oggetto di culto e di adorazione corpi celesti come il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito celeste (Deuteronomio 4, 19). Le loro statue ed immagini si trovavano nei templi pagani. Infine vi era il culto o adorazione di uomini che si attribuivano onori divini. Tali gli imperatori babilonesi (Daniele 3, 12), i faraoni d’Egitto e, più tardi, gli imperatori romani.Da questa breve analisi risulta in modo chiaro che la Bibbia condanna solo e sempre la raffigurazione e l’adorazione delle immagini e degli idoli cioè delle divinità pagane, in contrasto con l’adorazione dell’unico Dio.Santi, non idoliCiò che dice la Bibbia  a riguardo delle immagini e delle statue adorate dai pagani, non ha nulla a che vedere con la pratica cattolica di venerare immagini e statue. Solo una grande ignoranza o una propaganda velenosa contro la Chiesa Cattolica può far dire simili cose.Una breve analisi di come stanno le cose dimostrerà quanto siano assurde e contro la stessa Bibbia le accuse mosse dai nemici della Chiesa cattolica contro la pia pratica di usare e venerare le immagini e le statue dei Santi.In primo luogo va detto che le immagini e le statue venerate dai cattolici non sono idoli, non sono divinità pagane. I testi biblici citati precedentemente condannano solo il culto e l’adorazione dei Dei pagani, cioè l’idolatria, non l’uso della pittura o della scultura allo scopo di conoscere e adorare l’unico Dio. Questa semplice osservazione è sufficiente a qualificare come sbagliata e calunniosa l’applicazione dei testi biblici sopra ricordati alla venerazione cattolica delle immagini e delle statue.Domandiamo a tutte le persone oneste: avete mai visto adorata in qualche chiesa cattolica o in qualche famiglia di veri cattolici la statua o l’immagine della dea Astarte o di Baal, di Giove o di Venere, o del sole o delle stelle o del toro o del coccodrillo, oppure di qualche imperatore babilonese o romano o di qualche faraone d’Egitto? Avete mai visto qualche cattolico prostrarsi davanti a tali statue come se fossero divinità e metterle al posto dell’unico Dio, in cui egli crede? Si cade nel ridicolo al solo pensarlo …E’ vero che immagini e statue di divinità pagane e di imperatori se ne trovano in gran numero nei musei, nei giardini pubblici e nelle ville… ma quale cattolico ha mai avuto la strana idea di adorarle o anche di venerarle con offerte di fiori, di candele, di incenso? Chi mai sosta a pregare davanti ad esse a chiedere la loro intercessione per ottenere da Dio grazie e favori?In secondo luogo va detto che le immagini e le statue venerate dai cattolici rappresentano coloro i quali, lungo il corso della storia, hanno fatto conoscere il vero Dio ed hanno portato con la loro parola ed il loro buon esempio alla sua vera adorazione ed alla nostra salvezza. Le immagini e le statue sono mezzi o strumenti per ricordare queste nobili persone e che ancora oggi, mediante il loro ricordo ed il loro esempio, ci conducono alla conoscenza e all’adorazione del vero Dio. La loro immagine o statua è la loro parola vivente, più efficace di quella scritta, che ci sprona ad amare l’unico Dio, e per amore suo ad amare il nostro prossimo.Tutte le civiltà hanno sempre valorizzato l’uso delle immagini per educare alla conoscenza del bello, del giusto, del buono. Come negare o come tentare di distruggere tanta ricchezza umana e civile? Solo gente arretrata o con i paraocchi può lavorare in questa direzione!Mediante l’immagine o la statua la Chiesa Cattolica ci rende presente innanzitutto Gesù Cristo, l’Uomo – Dio, l’Emmanuele, ossia Dio-con noi (Matteo1, 23). Egli è l’immagine del Dio invisibile (Colossesi 1, 15). Chi ha visto Lui ha visto il Padre (Giovanni 14, 19).Mediante la sua immagine Egli, che è la Parola o Verbo di Dio, fa sentire la sua voce agli uomini di buona volontà di ogni tempo. Per sentire questa voce ci si può rivolgere al Vangelo. Ma l’immagine del Crocifisso o del Cristo trasfigurato (Raffaello) può dire molto di più che una pagina scritta del Vangelo.Mediante l’immagine o la statua la Chiesa Cattolica ci fa sentire la voce delle più nobili creature umane, che hanno collaborato col Figlio di Dio alla nostra salvezza. Tali sono Maria SS.. San Giuseppe, gli Apostoli, i martiri cristiani, tanti nostri fratelli nella fede che si sono distinti per il loro eroico amore a Dio e al prossimo: san Francesco d’Assisi, sant’Antonio da Padova, santa Rita e tantissimi altri, di cui la Bibbia dice: “Benché morti, ossia passati a vita migliore, ancora parlano” (Ebrei 11, 4); parlano anche mediante le loro immagini e statue. L’arte decorativa ci fa sentire ancora la loro voce.

NORME DA OSSERVARSI NELLE INCHIESTE DIOCESANE NELLE CAUSE DEI SANTI 0

NORME DA OSSERVARSI NELLE INCHIESTE DIOCESANE NELLE CAUSE DEI SANTI

[AAS 75(1983), pp. 396-403] Nella costituzione apostolica “Divinus perfectionis Magister” del 25 gennaio 1983 è stata stabilita la procedura per le inchieste che d’ora in poi devono essere svolte nelle cause dei santi da parte dei vescovi; così pure è stato affidato a questa sacra congregazione il compito di emanare speciali Norme a tale scopo. Perciò la medesima sacra congregazione ha redatto le norme che seguono. Il sommo pontefice ha voluto che fossero esaminate dall’assemblea plenaria dei padri preposti a detta congregazione tenuta nei giorni 22 e 23 giungo 1981; e poi, dopo aver sentito anche il parere di tutti i padri preposti ai dicasteri della Curia romana, le ha ratificate e ne ha ordinato la pubblicazione.   1. a) L’attore promuove la causa di canonizzazione; chiunque faccia parte del popolo di Dio o qualunque gruppo di fedeli ammesso dall’autorità ecclesiastica può fungere da attore. b) L’attore tratta la causa tramite un postulatore legittimamente costituito.  2. a) Il postulatore viene costituito dall’attore mediante un mandato di procura redatto a norma del diritto, con l’approvazione del vescovo.b) Mentre la causa viene trattata presso la sacra congregazione, il postulatore, approvato dalla stessa congregazione, deve avere dimora stabile a Roma.  3. a) Possono svolgere la mansione di postulatore sacerdoti, membri di istituti di vita consacrata e laici; tutti devono essere esperti in teologia, diritto canonico e storia, come pure conoscere la prassi della sacra congregazione.b) E’ compito del postulatore anzitutto svolgere le indagini sulla vita del servo di Dio di cui si tratta, per conoscere la sua fama di santità e l’importanza ecclesiale della causa, e riferire al vescovo.c) Al postulatore viene affidato anche il compito di amministrare i beni offerti per la causa, secondo le norme date dalla sacra congregazione.  4. Il postulatore ha il diritto di farsi sostituire, per mezzo di un legittimo mandato e con il consenso degli attori, da altri che vengono chiamati vice-postulatori.  5. a) Nell’istruire le cause di canonizzazione, il vescovo competente è quello nel cui territorio il servo di Dio è morto, a meno che particolari circostanze, riconosciute dalla sacra congregazione, non consiglino diversamente.b) Se si tratta di un asserito miracolo, è competente il vescovo sul cui territorio il fatto è avvenuto.  6. a) Il vescovo può istruire la causa direttamente o tramite un suo delegato, che sia sacerdote, veramente preparato in campo teologico, canonico e anche storico se si tratta di cause antiche.b) Anche il sacerdote che viene scelto come promotore di giustizia deve possedere tali doti.c) Tutti gli officiali che prendono parte alla causa devono giurare di adempiere fedelmente il loro incarico, e sono tenuti al segreto.  7. La causa può essere più recente o antica; è detta più recente, se il martirio o le virtù del servo di Dio possono essere provati attraverso le deposizioni orali di testimoni oculari; è detta antica quando le prove relative al martirio o le virtù possono essere desunte soltanto da fonti scritte.  8. Chiunque intenda iniziare una causa di canonizzazione, presenti al vescovo competente, tramite un postulatore, il libello di domanda, nel quale si richiede l’istruzione della causa.  9. a) Nelle cause più recenti, il libello di domanda non può essere presentato prima di cinque anni dalla morte del servo di Dio.b) Se viene presentato dopo 30 anni, il vescovo non può procedere alle fasi successive se non si sia accertato, con un’attenta indagine, che nel caso non c’è stata alcuna frode o inganno, da parte degli attori, nel procrastinare l’introduzione della causa.  10. Il postulatore, assieme al libello di domanda, deve presentare:a)nelle cause sia più recenti sia antiche, una biografia di un certo valore storico sul servo di Dio, se esiste, o, in mancanza di questa, un’accurata relazione cronologica sulla vita e le attività del servo di Dio, sulle sue virtù o martirio, sulla forma di santità e di prodigi, senza omettere ciò che pare contrario o meno favorevole alla causa stessa;(1)b)tutti gli scritti pubblicati dal servo di Dio in copia autentica;c)solo nelle cause più recenti, un elenco delle persone che possono contribuire a riconoscere la verità sulle virtù o il martirio del servo di Dio, come pure sulla fama di santità o di prodigi, oppure impugnarla.11. a) Accettato il libello, il vescovo consulti la conferenza episcopale, almeno regionale, sull’opportunità di introdurre la causa.b) Inoltre faccia conoscere pubblicamente la petizione del postulatore della propria diocesi e, se lo riterrà opportuno, anche nelle altre diocesi, con il consenso dei rispettivi vescovi, invitando tutti i fedeli a dargli notizie utili riguardanti la causa, se ne hanno da fornire.  12. a) Se dalle informazioni ricevute fosse emerso qualche ostacolo di una certa rilevanza contro la causa, il vescovo ne informi il postulatore, affinché lo possa eliminare.b) Se l’ostacolo non è stato rimosso e il vescovo perciò riterrà che la causa non si può ammettere, avverta il postulatore, esponendo le motivazioni della decisione.  13. Se il vescovo intende introdurre la causa, chieda il voto di due censori teologi circa gli scritti editi del servo di Dio; questi dicano se in tali scritti c’è qualcosa di contrario alla fede e ai buoni costumi.(2) 14. a) Se i voti dei censori teologi sono favorevoli, il vescovo ordini che vengano raccolti tutti gli scritti del servo di Dio non ancora pubblicati, come pure tutti e singoli i documenti storici sia manoscritti sia stampati riguardanti in qualunque modo la causa. (3)b) Nel fare tale ricerca, soprattutto quando si tratta di cause antiche, si ricorra all’aiuto di esperti in storia e archivistica.c) Adempiuto l’incarico, gli esperti presentino al vescovo, assieme agli scritti raccolti, una diligente e distinta relazione, nella quale riferiscano e garantiscano d’aver adempiuto fedelmente il compito loro affidato, uniscano un elenco degli scritti e dei documenti, esprimano un giudizio circa la loro autenticità e il loro valore, come pure circa la personalità del servo di Dio, quale si desume dagli stessi scritti e documenti.  15. a) Ricevuta la relazione, il vescovo consegni al promotore di giustizia o ad un altro esperto tutto ciò che è stato acquisito fino a quel momento, affinché possa predisporre gli interrogatori utili ad indagare e mettere in luce la verità circa la vita, le virtù o il martirio, la fama di santità o di martirio del servo di Dio.b) Nelle cause antiche gli interrogatori riguardino soltanto la fama di santità o di martirio ancora presente e, se è il caso, il culto reso al servo di Dio in tempi più recenti.c) Nel frattempo il vescovo invii alla Congregazione per le cause dei santi una breve notizia sulla vita del servo di Dio e sull’importanza della causa, per vedere se da parte della Santa Sede ci sia qualcosa in contrario.  16. a) Quindi il vescovo o un suo delegato esamini i testimoni presentati dal postulatore e gli altri che devono essere interrogati d’ufficio, assistito da un notaio che trascrive le parole di chi depone, il quale alla fine conferma la deposizione. Ma se urge l’esame dei testimoni per non perdere le prove, essi devono essere interrogati anche prima di completare la ricerca dei documenti (4)b) All’esame dei testimoni partecipi il promotore di giustizia; qualora questi non fosse stato presente, gli atti vengano poi sottoposti al suo esame, affinché egli possa fare le sue osservazioni e proporre quanto gli parrà necessario e opportuno.c) I testimoni siano esaminati anzitutto sugli interrogatori stabiliti; poi il vescovo o il suo delegato non tralasci di porre ai testimoni altre domande necessarie o utili, affinché quanto essi hanno detto sia chiarito o le eventuali difficoltà emerse siano appianate o superate.  17. I testimoni devono essere testimoni oculari; a questi, se occorre, possono essere aggiunti altri testimoni che hanno sentito da coloro che hanno visto; ma tutti siano degni di fede.  18. Come testimoni siano presentati anzitutto i consanguinei e parenti del servo di Dio e quanti altri abbiano vissuto con e frequentato il servo di Dio. 19. A prova del martirio o dell’esercizio delle virtù e della fama dei prodigi di un servo di Dio che sia appartenuto a qualche istituto di vita consacrata, una parte notevole di testimoni presentati devono essere estranei; a meno che ciò sia impossibile, a motivo della particolare vita del servo di Dio.  20. Non siano ammessi a testimoniare:a) il sacerdote, per quanto riguarda tutto ciò di cui è venuto a conoscenza attraverso la confessione sacramentale;b) i confessori abituali o i direttori spirituali del servo di Dio, per quanto riguarda anche tutto ciò che il servo di Dio ha loro manifestato nel foro di coscienza fuori della confessione sacramentale.c) il postulatore nella causa, finché svolge l’incarico.  21. a) Il vescovo o il delegato chiami d’ufficio alcuni testimoni, che siano in grado di contribuire, se occorre, al completamento dell’inchiesta, soprattutto se sono contrari alla causa stessa.b) Devono essere chiamati come testimoni d’ufficio gli esperti che hanno svolto le indagini sui documenti e redatto la relazione sui medesimi; essi devono dichiarare sotto giuramento: 1)di avere svolto tutte le indagini e di aver raccolto tutta la documentazione riguardante la causa; 2)di non aver alterato o mutilato alcun documento o testo.  22. a) I medici curanti, quando si tratta di guarigioni prodigiose, vanno prodotti come testimoni.b) Qualora essi si rifiutassero di presentarsi al vescovo o al delegato, questi provveda che redigano sotto giuramento, se possibile, una relazione scritta da mettere agli atti sulla malattia e il suo decorso, o almeno si cerchi di ottenere tramite interposta persona, un loro giudizio, da sottoporre poi ad esame.  23. I testimoni nella loro testimonianza, che dev’essere confermata con giuramento, devono indicare la fonte della loro conoscenza di quanto asseriscono; diversamente la loro testimonianza è da ritenersi nulla.  24. Se un testimone preferisce consegnare al vescovo o al suo delegato, sia contestualmente alla deposizione sia al di fuori di essa, qualche scritto da lui redatto in precedenza, tale scritto venga accettato, purché il teste stesso provi con giuramento che ne è l’autore e che in esso sono esposte cose vere; e tale scritto venga accluso agli atti della causa.  25. a) Qualunque sia il modo con cui i testimoni hanno rilasciato le informazioni, il vescovo o il delegato abbia diligente cura di autenticarle sempre con la sua firma e col proprio timbro.b) I documenti e le testimonianze scritte, sia raccolte dagli esperti sia rilasciate da altri, siano dichiarate autentiche con l’apposizione del nome e del timbro di un notaio o di un pubblico ufficiale che ne faccia fede.  26. a) Se le indagini sui documenti o sui testimoni devono essere svolte in altra diocesi, il vescovo o il delegato mandi una lettera al vescovo competente, il quale procederà secondo le norme qui stabilite.b) Gli atti di tale inchiesta siano conservati nell’archivio della curia, ma una copia redatta a norma dei nn. 29-30 sia mandata al vescovo richiedente.  27. a) Il vescovo o il delegato si interessi con somma diligenza e impegno affinché nel raccogliere le prove nulla sia omesso, di quanto in qualunque modo ha attinenza con la causa, tenendo presente che il felice esito della causa dipende in gran parte dalla sua buona istruzione.b) Raccolte quindi tutte le prove, il promotore di giustizia esamini tutti gli atti e documenti per potere, se gli parrà necessario, richiedere ulteriori indagini.c) Al postulatore dev’essere data anche la facoltà di esaminare gli atti per potere, se lo ritiene opportuno, completare le prove con nuovi testimoni o documenti.  28. a) Prima che l’inchiesta sia conclusa il vescovo o il delegato ispezioni diligentemente la tomba del servo di Dio, la camera nella quale abitò o morì e altri eventuali luoghi dove si possano mostrare segni di culto in suo onore, e faccia una dichiarazione circa l’osservanza dei decreti di Urbano VIII sulla non esistenza di culto (5)b) Di tutto ciò che è stato fatto si rediga una relazione da allegare agli atti.  29. a) Completati gli atti istruttori, il vescovo o il delegato ordini che sia redatta una copia conforme, a meno che, considerate le circostanze sicure, abbia già permesso di prepararla durante la fase istruttoria.b) La copia conforme sia trascritta dagli atti originali e venga fatta in duplice esemplare.  30. a) Fatta la copia conforme, la si confronti con l’originale, e il notaio firmi ciascuna pagina almeno con le sigle e vi apponga il suo timbro.b) L’originale chiuso in busta e contrassegnato dai timbri sia custodito nell’archivio della curia.  31. a) La copia conforme dell’inchiesta e i documenti allegati vengano trasmessi per via sicura alla sacra congregazione in duplice esemplare debitamente chiusi e contrassegnati dai timbri, assieme ad una copia dei libri del servo di Dio esaminati dai censori teologi e sottoposti al loro giudizio. (6)b) Se è necessaria una traduzione degli atti e dei documenti in una lingua ammessa presso la sacra congregazione, si producano due copie della versione dichiarata autentica, e siano inviate a Roma assieme alla copia conforme.c) Il vescovo o il delegato mandi inoltre al cardinale prefetto una dichiarazione sulla credibilità dei testimoni e la legittimità degli atti.  32. L’inchiesta sui miracoli va istruita separatamente dall’inchiesta sulle virtù o il martirio e si svolga secondo le norme che seguono(7) 33. a) Il vescovo competente a norma del n. 5 b, dopo aver ricevuto il libello del postulatore assieme ad una breve ma accurata relazione dell’asserito miracolo e ai documenti ad esso relativi, chieda il giudizio di uno o due esperti.b) Se avrà poi deciso di istruire l’inchiesta giuridica, esaminerà di persona o tramite un suo delegato tutti i testimoni, secondo le norme stabilite sopra ai nn. 15a, 16-18 e 21-24.  34. a) Se si tratta di guarigione da una malattia, il vescovo o il delegato chieda l’aiuto di un medico, il quale pone le domande ai testimoni per chiarire meglio le cose secondo la necessità e le circostanze.b) Se il guarito è ancora vivente, alcuni esperti lo visitino, per costatare se la guarigione è duratura.  35. La copia conforme dell’inchiesta assieme ai documenti allegati sia inviata alla sacra congregazione, secondo quanto stabilito ai nn. 29-31.  36. Sono proibite nelle chiese le celebrazioni di qualunque genere o i panegirici sui servi di Dio, la cui santità di vita è tuttora soggetta a legittimo esame.Ma anche fuori della chiesa ci si deve astenere da quegli atti che potrebbero indurre i fedeli a ritenere a torto che l’inchiesta, fatta dal vescovo sulla vita e sulle virtù o sul martirio del servo di Dio, comporti automaticamente la certezza della futura canonizzazione del servo di Dio stesso.Giovanni Paolo II, per divina provvidenza papa, nell’udienza concessa il 7 febbraio 1983 al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione, si è degnato di approvare e ratificare le presenti norme, ordinandone la pubblicazione e l’entrata in vigore da oggi stesso. Esse dovranno debitamente e devotamente essere osservate da tutti i vescovi che istruiscono le cause di canonizzazione e da quanti altri direttamente interessati, nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche degna di speciale menzione. Roma, dalla Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, 7 febbraio 1983.Pietro Card. Palazzini 
PrefettoTraian Crisan 
Arciv. tit. di Drivasto
Segretario
 1 Cfr. Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister, n. 2.1.2. Cfr. ibid., 2.2.3. Cfr. ibid., n. 2.3.4. Cfr. ibid., n. 2.4.5. Cfr. ibid., n. 2.6.6. Ibid.7. Ibid., n. 2, 5.

Il vero Francesco e l’Italia di oggi 0

Il vero Francesco e l’Italia di oggi

Card. Giacomo Biffi.Omelia presso la Basilica S. Maria degli Angeli. Quali sono gli insegnamenti che Francesco più appassionatamente ci ripropone? Il primo è l’accoglimento del Vangelo come dell’unica valida norma di vita. Questa è la persuasione primaria che fonda tutta l’esperienza francescana. “La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo”…. Omelia del 4 ottobre in San Francesco (Assisi) Vogliamo raccoglierne la lezione vera, quella che con chiarezza risuona dalle sue parole, dai suoi scritti, dalle antiche. testimonianze.Non serve al bene del nostro paese un francescanesimo di maniera, svigorito in un estetismo senza convinzioni esistenziali, omogeneizzato (per cosi dire) in modo che tutti lo possano assumere senza ripulse e senza drammi interiori, stemperato in una religiosità indistinta che non inquieti nessuno.La dottrina e l’esempio di Francesco si possono accogliere o rifiutare; ma prima di tutto vanno conosciuti nella loro verità.Anche l’Italia dei nostri giorni, che spesso si dimostra assalita da mali spirituali contraddittori e tetti gravi, dominata al tempo stesso e nelle stesse persone dall’edonismo borghese e dalle ideologie populiste; anche l’Italia che ci appare largamente afflitta da un giustizialismo senza giustizia, da un solidarismo senza amore, da un permissivismo che sta uccidendo la libertà sostanziale, da un vitalismo senza fecondità e senza gioia; anche l’Italia di oggi qui deve sostare un poco e ascoltare. E se anche ci dirà parole, tutte germinate dalla sua limpidissima fede, che potranno stupire o forse irritare le nostre orecchie mondanizzate, il Poverello, che reca nelle sue carni i segni della crocifissione di Cristo, merita che gli prestiamo un po’ di attenzione, con tutto quel residuo di serietà di cui siamo ancora capaci. Il Vangelo, sola norma di vitaQuali sono gli insegnamenti che Francesco pi§ appassionatamente ci ripropone?Il primo è l’accoglimento del Vangelo come dell’unica valida norma di vita. Questa è la persuasione primaria che fonda tutta l’esperienza francescana.“La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo”(1).E ciò che gli si era manifestato come una specifica rivelazione dell’Altissimo per la sua esistenza personale (2), gli apparve ben presto come un impegno da proporre a tutto il popolo; e così divenne “araldo del Vangelo”(3). Il ritorno alla ChiesaIl secondo insegnamento si riferisce alla Chiesa.Già nello straordinario colloquio, che sta all’inizio dell’avventura spirituale di Francesco, il Crocifisso di san Damiano gli indica la Chiesa come l’oggetto della sua missione e delle sue cure: “Ripara la mia casa”(4). Da quel momento la Sposa di Cristo diventa la beneficiaria del suo amore appassionato e cortese, a fondamento di ogni sua fiducia. Egli ne parla solo in termini di affettuoso rispetto; per lui essa è sempre “la santa Chiesa cattolica e apostolica”(5).Dalla sua bocca non esce mai nei confronti della Chiesa una frase aspra o malevola, una critica amara, un accento sdegnoso. Bella e commovente è la parola che gli ritorna sul labbro ogni volta che nelle difficoltà decide di sottoporsi al giudizio della Sede apostolica: “Andiamo dalla madre nostra”(6)Agli Italiani di oggi, Francesco sembra rivolgere l’invito che risuona nell’epopea vergiliana: “Antiqua in exquirite matrem”: tornate a cercare la vostra madre antica.Tutto avete preso da lei: le vostre scuole, i vostri ospedali, le vostre istituzioni benefiche hanno per la più parte avuto origine dal suo amore inventivo. Lei ha custodito per voi e vi ha trasmesso i valori veramente umani dell’antico mondo pagano; all’ombra delle sue abbazie e delle sue cattedrali avete imparato l’arte del ragionamento; lei ha ispirato la maggioranza dei capolavori che adornano le vostre contrade; lei vi ha formato al senso di cordialità e di umanità verso tutti, che vi distingue tra le genti.E vero che da un po’ di tempo nelle vostre leggi, nelle vostre abitudini, nelle idee più diffuse, sembrate farvi ogni giorno più remoti dalle vostre matrici, dalla vostra storia, dalla cultura che vi ha plasmato; ma è anche vero che in questo tempo non siete migliorati affatto. Sicché bisogna persuadersi che solo invertendo la vostra marcia potete sperare di risalire.Cosi pare dirci Francesco coll’esempio del suo amore alla Chiesa. La conversioneIl terzo tema, che domina tutta la predicazione del Santo è quello evangelico della conversione.Il totale capovolgimento di mentalità è in lui l’inizio di una straordinaria esistenza, tutta contrassegnata da una grande docilità alla grazia dello Spirito; e questa stessa radicale mutazione dell’animo e del comportamento egli propone anche agli altri come il principio irrinunciabile di ogni vero arricchimento interiore.“La mano del Signore si posò su di lui e la destra dell’Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio”(7).Il suo messaggio di pace, di letizia, di riconciliazione sarebbe del tutto frainteso, se ci si dimenticasse, pur se per un momento, che per lui pace, letizia, riconciliazione sono soltanto i frutti dolcissimi di quell’integrale mutamento del cuore che porta l’uomo dall’incredulità alla fede in Cristo crocifisso e risorto, e dalla fede inerte alla piena coerenza evangelica della vita. Ammonizioni particolari di FrancescoMa oggi noi vogliamo ascoltare anche quali siano le raccomandazioni particolari di Francesco alla nazione italiana in alcune delle sue componenti.Tra le sue lettere, ne troviamo una rivolta “a tutti i fedeli”, una indirizzata ai sacerdoti e una terza che ha come destinatari i “reggitori dei popoli”, cioè gli uomini politici.Sono ammonimenti che, nascendo dalla visione cattolica della vita accolta in forma piena e incontaminata, possono stupire e quasi provocare la nostra incredulità o la nostra fede rarefatta. Ma sarà bene almeno conoscerli nella loro autenticità. A tutti i fedeliA tutti i fedeli egli raccomanda soprattutto l’osservanza dei comandamenti di Dio e la preoccupazione di non morire in peccato mortale, lasciando situazioni di obiettiva ingiustizia.Con tutta la sua dolcezza, arriva a dire con la forza degli antichi profeti: “Coloro che non vogliono gustare quanto sia soave il Signore e preferiscono le tenebre alla luce, non volendo osservare i comandamenti di Dio, sono maledetti”(8) Ai sacerdotiAi sacerdoti ricorda più di ogni altra cosa il loro dovere di trattare con riverenza il “santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo”. Egli si rammarica che “il corpo [del Signore] è lasciato in luoghi indegni, è portato via in modo lacrimevole, è ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato senza riverenza”(9).Un lamento che deve farci riflettere e ci invita a un esame del nostro modo di trattare l’eucaristia in questi tempi contrassegnati da una disinvoltura liturgica, che non aiuta affatto il popolo a crescere nella fede. Agli uomini politiciAi reggitori dei popoli dice testualmente: “Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo”.“Obbedite ai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che dimenticano il Signore e si allontanano dalle sue leggi sono maledetti e saranno dimenticati da lui”.“E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di avere saranno loro tolte.E quanto più saranno sapienti e potenti in questo mondo, tanto più dovranno patire le pene nell’inferno”.“Perciò vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria”(10) Le nostre implorazioniPoi che noi l’abbiamo ascoltato, ora ci ascolti lui. Ascolti la nostra fiduciosa implorazione: protegga la nostra patria, ottenga saggezza ai suoi governanti, ispiri concordia e spirito di collaborazione tra i cittadini; ridoni alla nostra gente il gusto e la fierezza del lavoro ben compiuto; ci salvi tutti dalla disgrazia nazionale di voler essere troppo furbi; persuada la famiglia italiana a ridiventare il luogo dove il patto nuziale si mantiene fino alla fine, dove l’amore diventa fecondo, dove l’egoi­smo dei genitori non prevale sul vero bene dei figli; soprattutto aiuti l’Italia a conservarsi in comunione vitale con la sua storia, che è per larga parte storia della fede in Cristo che progressiva­mente si è fatta nella nostra terra vita e cultura di un popolo.  Note: (1) CELANO, Vita Prima, ‑84, FF 466. (2) Cfr. Testamento, FF 116. (3)S. BONAVENTURA, Leggenda Maggiore, IV, 5, FF 1072. (4)ID., Leggenda Minore, 1, Lez. V, FF 1334. (5) Regola non bollata, XXIII, FF 68. (6) Leggenda dei tre compagni, 46, FF 1455.(7) CELANO, Vita Prima, 2, FF 321. (8) Lettera a tutti i fedeli, 11, FF 186.(9) Lettera a tutti i chierici sulla riverenza del corpo del Signore, FF 208.(10) Ai reggitori dei popoli, FF 211‑212.

SAN BERNARDO DA CORLEONE 0

SAN BERNARDO DA CORLEONE

Fra Bernardo e gli altriPur essendo ritirato nell’umiltà e nel silenzio, fra Bernardo viveva in pienezza le vicende degli uomini e portava, come ogni cappuccino del resto, le stimmate della popolarità.L’amore di fra Bernardo per il prossimo iniziava anzitutto dentro il convento, «stimandosi servo e servendo a tutti in particolare con aggiutare il fratello nei più vili esercizii del convento, come di lavar piatti, scopare la cocina…».Nei rapporti fraterni, mai lo si vide «adirato con alcuno, o lamentarsene, o mormorarsi del prossimo», né mai disse male di alcuno, anzi »non conosceva mai difetto in persona d’altri». Quando in convento arrivavano frati forestieri, fra Bernardo li abbracciava e quindi si precipitava a lavar loro i piedi, per ristorarli dalla stanchezza del viaggio. Sempre con la più grande allegria dicendo: «per amor di Dio, per amor di Dio».Una volta, nel refettorio di Palermo, un frate «di una provincia forestiera» era stato, castigato, non si sa per quale motivo. Fra Bernardo abbracciò il frate umiliato con tanto affetto da farlo piangere di tenerezza.Era risaputo che, quando «qualcheduno aveva qualche tribolazione, esso [fra Bernardo] lo consolava».Aperto all’amore universale, fra Bernardo «a tutti facia la carità». Quando poteva servire «l’infermi secolari», «era mirabile in confortarli».Il cappuccino di Corleone era ricercato alla porta del convento da tutte le categorie di persone, a volte per consigli spirituali a volte anche per curiosità. Allora, quando fiutava il pericolo di esporsi alla dissipazione, fra Bernardo si rendeva irreperibile. Al fratello portinaio però fra Bernardo diceva che, «quandu venissetu poverelli che lo vulisseru, l’avissi subito chiamato».Allora ilo frate austero, logorato dalle penitenze e assorto nella contemplazione, mostrava tenerezza materna, come quando preparava a parte la minestra per i poveri «con gusto grande».Era felice quando poteva venire in aiuto degli altri. Così, assicurava a Giuseppe Giacòn che la moglie avrebbe dato alla luce «un bel figliolo maschio», e a Giambattista Massa, preoccupato per la moglie che presentava una gravidanza difficile, fra Bernardo dava per certa la nascita di una femminuccia: «la chiamerai Anna».Ad una benefattrice illustre del convento dei cappuccini di Castronovo, donna Virginia, fra Bernardo chiese, in segno di amicizia, che, se fosse morto prima lui, ella avrebbe distribuito una «gran quantità di pane ai poverelli». Del resto, quando risiedeva in Castronovo, andava «con un caldano sopra li spalli» per le vie del paese a «dari la minestra alli poveri».Parafrasando le costituzioni cappuccine che ricordavano ai frati: «siamo all’osteria e mangiamo i peccati de’ popoli», fra Bernardo ripeteva: «mangiamo il loro sangue», riferendosi ovviamente alle elemosine ricevute.Sentimenti di fraternità legavano fra Bernardo alle vicende della città di Palermo, colma di inquietudine sociali, e della sua Corleone, l’animosa civitas.Così, una volta fu sorpreso a pregare «a braccia aperte e la faccia per terra innanzi l’altare maggiore», per la città di Palermo sulla quale incombeva un castigo pesante. Egli ripeteva con tono accorato: «Signori, la vogliu stà grazia!». Del resto era arcinoto che il cappuccino «piangia li peccati della città», come pure «pregava e piangeva» per Corleone e per i suoi abitanti: «pregava Iddio che li perdonasse».Due mesi prima della morte, fra Bernardo comunicava all’amico frat’Antonio da Partanna: «questa mattina io mi ho comunicato e ogni giorno mi pare cent’anni d’andare a godere Iddio». Ormai egli sempre più frequentemente esclamava: «paradiso, paradiso, presto ci vedremo in paradiso», e lo diceva con «allegria straordinaria».Aveva un solo timore e non lo nascondeva: «alla morte di nulla mi spavento se non del padre san Francesco», ma poi si consolava: «chi teme e spera in Dio avendo una buona coscienza, non teme a nessuno».Con questa convinzione profonda sorella morte trovò fra Bernardo nell’infermeria dei cappuccini di Palermo. Era il 12 gennaio 1667.Una moltitudine di gente, «così nobili, come plebei ed ecclesiastici ancora», accorse a vedere per l’ultima volta il fratello buono, e il rimpianto per la scomparsa del cappuccino fu generale, «principalmente in Corleone».Gli arcivescovi di Palermo e di Monreale impartirono l’assoluzione al cappuccino e i nobili della città, scortati dagli «alabardieri la Sua Eccellenza», tra una ressa di popolo, ne accompagnarono il corpo alla chiesa del convento dove si celebrarono i funerali.La Chiesa riconobbe l’autenticità della vita cristiana e religiosa di fra Bernardo da Corleone il 29 aprile 1768, quando Clemente XIII lo dichiarò «beato».Il 1° luglio 2000, in Vaticano, è stato promulgato il decreto di canonizzazione.Nel Concistoro ordinario pubblico, tenuto il 13 marzo 2001, il santo Padre Giovanni Paolo II ha stabilito la cerimonia solenne di canonizzazione di fra Bernardo da Corleone, con altri religiosi, in piazza San Pietro il 10 giugno 2001.La santità di fra Bernardo viene così additata alla Chiesa del Terzo millennio.Con tutti i suoi valori umani e religiosi, Bernardo da Corleone resta una figura di cappuccino impegnato in quel Seicento religioso italiano che, a torto giudicato «insincero, formalistico e costretto entro rigide norme prive di vita», fu invece pervaso da un’autentica vena di spiritualità, da un sofferto ascetismo, come pure da un potente soffio di mistica speculativa e vissuta che non dimenticava i fratelli.Tutto impegnato in una vita religiosa coerente, egli visse in pieno il carisma della spiritualità cappuccina che è «la ricerca del volto di Dio in Cristo e la scoperta del volto di Cristo in san Francesco per avere Cristo nel cuore», a tutto favore del popolo santo di Dio, perché «abitare in Cristo vuol dire abitare nella Chiesa e quindi negli altri».

Madre Teresa di Calcutta: dono totale 0

Madre Teresa di Calcutta: dono totale

Gonxha (Agnese) Bojaxhiu, la futura Madre Teresa, è nata il 26 agosto 1910 a Skopje (ex Jugoslavia). Fin da piccola riceve un’educazione fortemente cattolica dato che la sua famiglia, di cittadinanza albanese, era profondamente legata alla religione cristiana.Già verso il 1928, Gonxha sente di essere attratta verso la vita religiosa, cosa che in seguito attribuirà ad una “Grazia” fattale dalla Madonna. Presa dunque la fatidica decisione, è accolta a Dublino dalle Suore di Nostra Signora di Loreto, la cui Regola si ispira al tipo di spiritualità indicato negli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola. Ed è proprio grazie alle meditazioni sviluppate sulle pagine del santo spagnolo che Madre Teresa matura il sentimento di voler «aiutare tutti gli uomini».
Gonxha è attirata dunque irresistibilmente dalle missioni. La Superiora la manda quindi in India, a Darjeeling, città situata ai piedi dell’Himalaia, dove, il 24 maggio 1929, ha inizio il suo noviziato. Dato che l’insegnamento è la vocazione principale delle Suore di Loreto, lei stessa intraprende questa attività, in particolare seguendo le bambine povere del posto. Parallelamente porta avanti i suoi studi personali per poter ottenere il diploma di professoressa.Il 25 maggio 1931, pronuncia i voti religiosi e assume da quel momento il nome di Suor Teresa, in onore di Santa Teresa di Lisieux. Per terminare gli studi, viene mandata, nel 1935, presso l’Istituto di Calcutta, capitale sovrappopolata ed insalubre del Bengala. Ivi, essa si trova confrontata di colpo con la realtà della miseria più nera, ad un livello tale che la lascia sconvolta. Di fatto tutta una popolazione nasce, vive e muore sui marciapiedi; il loro tetto, se va bene, è costituito dal sedile di una panchina, dall’angolo di un portone, da un carretto abbandonato. Altri invece hanno solo alcuni giornali o cartoni… La media dei bambini muore appena nata, i loro cadaveri gettati in una pattumiera o in un canale di scolo.Madre Teresa rimane inorridita quando scopre che ogni mattina, i resti di quelle creature vengono raccolte insieme con i mucchi di spazzatura…Stando alle cronache, il 10 settembre 1946, mentre sta pregando, Suor Teresa percepisce distintamente un invito di Dio a lasciare il convento di Loreto per consacrarsi al servizio dei poveri, a condividere le loro sofferenze vivendo in mezzo a loro. Si confida con la Superiora, che la fa aspettare, per mettere alla prova la sua ubbidienza. In capo ad un anno, la Santa Sede la autorizza a vivere fuori della clausura. Il 16 agosto 1947, a trentasette anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un “sari” (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria. Sulla spalla, un piccolo crocifisso nero. Quando va e viene, porta con sé una valigetta contenente le sue cose personali indispensabili, ma non denaro. Madre Teresa non ha mai chiesto denaro né ne ha mai avuto. Eppure le sue opere e fondazioni hanno richiesto spese notevolissime! Lei attribuiva questo “miracolo” all’opera della Provvidenza…Tra i più poveri dei poveriTeresa prende un treno per Patna, dove trascorre tre mesi presso le Medical Sisters per apprendere le prime rudimentali nozioni di medicina, poi rientra a Calcutta alla ricerca dei più miseri negli slum.Passa da una baracca all’altra e inizia l’opera con acqua e sapone: lava i bambini, i vecchi piagati, le donne sofferenti. Va in giro chiedendo cibo e medicine, mendicando per curare e sfamare i suoi poveri.Dopo tre giorni apre una scuola, all’aria aperta, sotto un albero. “Come lavagna – dirà – avevamo la terra polverosa dove con un bastoncino io disegnavo le lettere”.Dopo la “scuola” comincia a camminare senza sosta per le strade della città, letteralmente assalita da uno stuolo di mendicanti e di bambini affamati. Ai lati, sui marciapiedi, quelli di cui non si sapeva se erano ancora vivi oppure morti.“La prima persona che tolsi dal marciapiede – racconterà Madre Teresa – era una donna mangiata per metà dai topi e dalle formiche. La portai con un carretto all’ospedale, non volevano accettarla, se la tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché non l’avessero ricoverata…”.Ogni giorno la fragile ma indomita suora dal sari bianco bordato di azzurro, con una piccola croce appuntata sulla spalla sinistra, continua la sua opera per le vie di Calcutta e il suo corpo è tutto dolorante per la fatica.Quando è sopraffatta dalla stanchezza ripensa al convento di Loreto, alla vita regolare di prima, alla sicurezza. Ma non torna indietro. Il suo “sì” ai poveri è deciso, “perché i poveri –dirà– sono il tramite attraverso il quale esprimiamo a Dio il nostro amore”.La sua abitazione è una baracca sterrata e lì ricovera quelli che non vengono accolti negli ospedali.Sei mesi più tardi (febbraio 1949) un funzionario dell’amministrazione statale mette a disposizione di suor Teresa un locale all’ultimo piano di una casa di Creek Lane.Là viene raggiunta dalla prima consorella, Shubashini, una ragazza di famiglia agiata, ex alunna del collegio di Entally, che spogliandosi del suo sari elegante indossa la nuova veste a buon mercato e prende il nome di Agnes, quello secolare della fondatrice.Presto le suore divennero quattro, poi otto, poi dodici; la comunità andava formandosi. La piccola Gonxha di Skopje diventava Madre Teresa e iniziava da questo momento la sua corsa da gigante.A decorrere dal 1949, sempre più numerose sono le giovani che vanno a condividere la vita di Madre Teresa. Quest’ultima, però, le mette a lungo alla prova, prima di riceverle. Nell’autunno del 1950, Papa Pio XII autorizza ufficialmente la nuova istituzione, denominata “Congregazione delle Missionarie della Carità”.Durante l’inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi. La porta all’ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l’idea di chiedere all’amministrazione comunale l’attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Una casa che serviva un tempo da asilo ai pellegrini del tempio indù di “Kalì la nera”, ed ora utilizzata da vagabondi e trafficanti di ogni sorta, è messa a sua disposizione. Suor Teresa la accetta. Molti anni più tardi, dirà, a proposito delle migliaia di moribondi che sono passati da quella Casa: “Muoiono tanto mirabilmente con Dio! Non abbiamo incontrato, finora, nessuno che rifiutasse di chiedere “perdono a Dio”, che rifiutasse di dire: “Dio mio, ti amo”.
Due anni dopo, Madre Teresa crea il “Centro di speranza e di vita” per accogliervi i bambini abbandonati. In realtà, quelli che vengono portati lì, avvolti in stracci o addirittura in pezzi di carta, non hanno che poca speranza di vivere. Ricevono allora semplicemente il battesimo per poter essere accolti, secondo la dottrina cattolica, fra le anime del Paradiso. Molti di quelli che riescono a riaversi, saranno adottati da famiglie di tutti i paesi. “Un bambino abbandonato che avevamo raccolto, fu affidato ad una famiglia molto ricca – racconta Madre Teresa – una famiglia dell’alta società, che voleva adottare un ragazzino.Qualche mese dopo, sento dire che quel bambino è stato molto malato e che rimarrà paralizzato. Vado a trovare la famiglia e propongo: “Ridatemi il bambino: lo sostituirò con un altro in buona salute. ? Preferirei che mi ammazzassero, piuttosto che esser separato da questo bambino!” risponde il padre guardandomi, con il volto tutto triste”. Madre Teresa nota: “Quel che manca di più ai poveri, è il fatto di sentirsi utili, di sentirsi amati. È l’esser messi da parte che impone loro la povertà, che li ferisce. Per tutte le specie di malattie, vi sono medicine, cure, ma quando si è indesiderabili, se non vi sono mani pietose e cuori amorosi, allora non c’è speranza di vera guarigione”.Madre Teresa è animata, in tutte le sue azioni, dall’amore di Cristo, dalla volontà di «fare qualcosa di bello per Dio», al servizio della Chiesa. “Essere cattolica ha per me un’importanza totale, assoluta, dice. Siamo a completa disposizione della Chiesa. Professiamo un grande amore, profondo e personale, per il Santo Padre… Dobbiamo attestare la verità del Vangelo, proclamando la parola di Dio senza timore, apertamente, chiaramente, secondo quanto insegna la Chiesa”.“Il lavoro che realizziamo è, per noi, soltanto un mezzo per concretizzare il nostro amore di Cristo… Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, vale a dire di Cristo, di cui i poveri sono l’immagine dolorosa… Gesù nell’eucaristia e Gesù nei poveri, sotto le specie del pane e sotto le specie del povero, ecco quel che fa di noi delle Contemplative nel cuore del mondo”.Nel corso degli anni 60, l’opera di Madre Teresa si estende a quasi tutte le diocesi dell’India. Nel 1965, delle Religiose se ne vanno nel Venezuela. Nel marzo del 1968, Paolo VI chiede a Madre Teresa di aprire una casa a Roma. Dopo aver visitato i sobborghi della città ed aver constatato che la miseria materiale e morale esiste anche nei paesi “sviluppati”, essa accetta. Nello stesso tempo, le Suore operano nel Bangladesh, paese devastato da un’orribile guerra civile. Numerose donne sono state stuprate da soldati: si consiglia a quelle che sono incinte, di abortire. Madre Teresa dichiara allora al governo che lei e le sue Suore adotteranno i bambini, ma che non bisogna, a nessun costo, “che a quelle donne, che avevano soltanto subito la violenza, si facesse poi commettere una trasgressione che sarebbe rimasta impressa in esse per tutta la vita”. Madre Teresa ha infatti sempre lottato con una grande energia contro qualsiasi forma di aborto.Negli anni 80, l’Ordine fonda, in media, quindici nuove case all’anno. A partire dal 1986, si insedia nei paesi comunisti, fino allora vietati ai missionari: l’Etiopia, lo Yemen Meridionale, l’URSS, l’Albania, la Cina.Nel marzo del 1967, l’opera di Madre Teresa si è arricchita di un ramo maschile: la “Congregazione dei Frati Missionari”. E, nel 1969, è nata la Fraternità dei collaboratori laici delle Missionarie della Carità. Chiestole da più parti di dove le venisse la sua straordinaria forza morale, Madre Teresa ha spiegato: “Il mio segreto è infinitamente semplice. Prego. Attraverso la preghiera, divento una cosa sola nell’amore con Cristo. PregarLo, è amarLo”.Inoltre, Madre Tersa ha anche spiegato come l’amore sia indissolubilmente unito alla gioia: “La gioia è preghiera, perché loda Dio: l’uomo è creato per lodare. La gioia è la speranza di una felicità eterna. La gioia è una rete d’amore per catturare le anime. La vera santità consiste nel fare la volontà di Dio con il sorriso”.Tante volte Madre Teresa, rispondendo a giovani che manifestavano il desiderio di andarla ad aiutare in India, ha risposto di rimanere nel loro paese, per esercitarvi la carità nei riguardi dei “poveri” del loro ambiente abituale. Ecco alcuni suoi suggerimenti: “In Francia, come a New York e dovunque, quanti esseri hanno fame di esser amati: è una povertà terribile, questa, senza paragone con la povertà degli Africani e degli Indiani… Non è tanto quanto si dà, ma è l’amore che mettiamo nel dare che conta… Pregate perché ciò cominci nella vostra propria famiglia.I bambini non hanno spesso nessuno che li accolga, quando tornano da scuola. Quando si ritrovano con i genitori, è per sedersi davanti alla televisione, e non scambiano parola. È una povertà molto profonda… Dovete lavorare per guadagnare la vita della vostra famiglia, ma abbiate anche il coraggio di dividere con qualcuno che non ha ? forse semplicemente un sorriso, un bicchier d’acqua -, di proporgli di sedersi per parlare qualche istante; scrivete magari soltanto una lettera ad un malato degente in ospedale…”.Dopo varie degenze in ospedale, Madre Teresa si è spenta a Calcutta, il 5 settembre 1997, suscitando commozione in tutto il mondo.Il 20 dicembre 2002 Papa GIOVANNI PAOLO II ha firmato un decreto che riconosce le virtù eroiche della “Santa dei Poveri”, iniziando di fatto il processo di beatificazione più rapido nella storia delle “cause” dei Santi.Nella settimana che celebrava i suoni 25 anni di pontificato, il 19 ottobre 2003, papa GIOVANNI PAOLO II ha presieduto la beatificazione di madre Teresa davanti a un’emozionata folla di trecentomila fedeli.Missionarie della CaritàLa Congregazione delle Missionarie della Carità, fondata da Madre Teresa, nasce ufficialmente con decreto della Santa Sede il 7 ottobre 1950.Oltre ai tre usuali voti di povertà, castità e obbedienza la Congregazione ne richiede un quarto, quello di «dedizione e servizio gratuito ai più poveri tra i poveri». La Congregazione, che dal 1 febbraio 1965 è diventata Congregazione Pontificia, si compone di 8 sezioni:Le suore attive che dedicano la propria giornata al servizio esclusivo dei più poveri tra i poveri.Le suore contemplative che, fatta eccezione di due ore in cui si dedicano al servizio della comunità, sostengono le altre suore con la preghiera.I fratelli attivi che, come le consorelle, si dedicano interamente al servizio dei più poveri tra i poveri.I fratelli contemplativi che svolgono la stessa attività delle suore contemplative.I padri missionari che si dedicano agli altri e riservano più tempo per la contemplazione e la preghiera e celebrano messa.Le missionarie e i missionari laici che prendono gli stessi voti delle sorelle e dei fratelli ma possono anche sposarsi ed avere una famiglia. Possono associarsi direttamente alle opere di apostolato delle missionarie della Carità, oppure trovare un proprio apostolato che consenta loro di vivere il quarto voto, voluto da Madre Teresa, di “servizio gratuito e appassionato ai più poveri tra i poveri” per tutta la vita.I volontari che sono coloro che condividono la stessa visione dell’opera delle Missionarie della Carità e desiderano vivere “irradiando l’amore di Dio” in povertà volontaria e sacrificando ogni lusso. Lavorano al fianco dei membri dell’ordine e vivono in preghiera e con spirito di servizio nei confronti delle proprie famiglie e della comunità. Essi possono appartenere a qualunque confessione religiosa.I collaboratori malati e sofferenti che offrono le proprie sofferenze per i poveri e per il lavoro che fra loro conducono le Missionarie della Carità. Le preghiere forniscono sostegno spirituale ai missionari attivi. Pregando per il lavoro altrui, diventano una sorta di alter ego dei missionari.NEL CUORE DI CALCUTTAAl piano terra della Mother House, la casa-madre nella Lower Circular Road di Calcutta, c’è la cappella semplice e disadorna dove dal 13 settembre 1997, dopo i solenni funerali di Stato trasmessi in mondovisione, riposano le spoglie mortali di Madre Teresa.Fuori, nel fitto dedalo di viuzze, i rumori assordanti della metropoli indiana: campanelli di risciò, vociare di bimbi, lo sferragliare di tram scalcinati attraverso i gironi infernali della miseria.Dentro, invece, il tempo sembra fermarsi ogni volta, cristallizzato in una specie di bolla rarefatta. La cappella accoglie una tomba povera e spoglia, un blocco di cemento bianco su cui è stata deposta la Bibbia personale di Madre Teresa e una statua della Madonna con una corona di fiori al collo, accanto a una lapide di marmo con sopra inciso, in inglese, un versetto tratto dal Vangelo di Giovanni: Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cfr. Gv 15,12).Pellegrini da tutto il mondo vengono ogni giorno a visitarla, persone di ogni credo e ceto sociale che giungono qui, nel cuore di Calcutta, per pregare e, spesso, per trovare una qualche risposta ai loro problemi esistenziali.Una risposta ai tanti perché che agitano il cuore degli uomini e delle donne del terzo millennio, a cui né scienziati, né sociologi ed opinion leaders sanno fornire concrete spiegazioni.QUINDICI CASE IN RUSSIALe opere incominciate da Madre Teresa sono andate avanti senza battute d’arresto, come all’indomani della sua scomparsa si sarebbe potuto ipotizzare.In Russia le Missionarie della Carità hanno aperto quindici case, quindici “tabernacoli” in onore di Maria, uno per ogni mistero del S. Rosario. E il loro numero è destinato a crescere a vista d’occhio, come quello delle nuove vocazioni.Il 7 ottobre del 2000, memoria della Beata Vergine del Rosario, la famiglia religiosa creata dalla santa di Calcutta ha festeggiato il 50° anno della propria fondazione. Un bel traguardo raggiunto sotto l’occhio materno di Maria, a cui la Congregazione venne affidata fin dal suo apparire, appunto nel 1950, quando l’eccezionale avventura missionaria della piccola suora albanese cominciò a muovere i primi passi.

Come Padre Pio, i mistici incontrano 0

Come Padre Pio, i mistici incontrano

di Antonio Socci Mentre una moltitudine immensa, a Roma, fa ore di fila per poter pregare un istante davanti al corpo di Karol Wojtyla il Grande, una notizia sensazionale rimbalza dai telefonini ai siti internet, dagli Stati Uniti a Medjugorje a Roma. Dopo averne verificato -da più fonti, dirette e serie- l’attendibilità, siamo in grado di riferirla sebbene non sia ufficiale.Il Papa era morto da circa quattro ore, quando Ivan Dragicevic, uno dei sei “ragazzi di Medjugorje” ha avuto la sua apparizione quotidiana a Boston, la città dove adesso vive. Là oltreoceano erano le 18.40 (ed era ancora il 2 aprile). Mentre Ivan pregava, come di consueto, guardando la Madonna, la giovane donna bellissima che gli appare ogni giorno dal 24 giugno 1981, alla sinistra di Lei è apparso il Papa. Una delle mie fonti ricostruisce tutto nel dettaglio: “Il Papa era sorridente, appariva giovane ed era molto felice. Era vestito di bianco con un mantello dorato. La Madonna si è voltata verso di lui e i due, guardandosi, hanno entrambi sorriso, un sorriso straordinario, meraviglioso. Il Papa continuava estasiato a guardare la Giovane Donna e lei si è rivolta verso Ivan dicendogli: Il mio caro figlio è con me. Non ha detto nient’altro, ma il suo volto era raggiante come quello del Papa che ha continuato a guardare il volto di Lei”.Questa notizia, come si può capire, ha fatto molta impressione raggiungendo anche alcune persone che stanno pregando a San Pietro sulle povere spoglie mortali di Karol Wojtyla. I cristiani ripetono ogni domenica nel Credo: “credo nella vita eterna”. Ma ovviamente la notizia di questa apparizione è veramente una cosa eccezionale, come eccezionale è il fatto che esista una vita vera dopo la morte, come eccezionale è stata l’esistenza terrena di questo papa e come eccezionale è il “caso Medjugorje”.Molti storcono il naso per una pregiudiziale ostilità all’irrompere del soprannaturale. Personalmente -per veder chiaro nei fatti di Medjugorje (se sono veri o falsi)- ho fatto una mia inchiesta giornalistica che ho raccolto nel libro “Mistero Medjugorje” dove -fra l’altro- ho ricostruito i resoconti delle varie commissione medico-scientifiche che (tutte) si sono dette incapaci di spiegare i fatti eccezionali che là si verificano, innanzitutto sui sei ragazzi, nel momento delle apparizioni. Così come medicalmente inspiegabili restano le guarigioni prodigiose che là sono state documentate.Fra l’altro la Madonna di Medjugorje è stata, fin dall’inizio, molto decisa nel voler ricordare alla nostra generazione la realtà della vita eterna, della vita definitiva che è la vita vera. Infatti già al secondo giorno delle apparizioni (il 25 giugno 1981) ha tranquillizzato una delle ragazze, Ivanka, ancora angosciata dalla recente morte della madre e poi gliel’ha mostrata, vicina a sé. Inoltre alcuni dei veggenti testimoniano di essere stati portati a “vedere” l’inferno, il purgatorio e il paradiso, come ai bambini di Fatima fu mostrato l’inferno.Uno studio approfondito di questi eventi è stato fatto da padre Livio Fanzaga nei suoi libri su Medjugorje, preziosi anche per decifrare certi dettagli “teologici” come la giovinezza di Maria (e del Papa), segno dell’eterna giovinezza di Dio. Una splendida meditazione teologica su Medjugorje di don Divo Barsotti, uscita su Avvenire, spiegava: “con Maria appare il mondo nuovo…È come se d’improvviso si facesse visibile un mondo sempre presente, ma che abitualmente rimane nascosto; come se gli occhi dell’uomo acquistassero un nuovo potere visivo… Dalle apparizioni abbiamo la certezza di un mondo di luce, di purezza e di amore… nella Madonna è la creazione intera che si è rinnovata. È lei stessa la nuova creazione, non contaminata dal male e vittoriosa… L’apparizione fa presente il mondo redento… L’apparizione non è dunque un’azione di Dio sull’immaginazione dell’uomo. Credo che non si possa negare la sua oggettiva realtà. Veramente è la Vergine Santa che appare, veramente gli uomini entrano in rapporto con lei e con il suo Figlio divino… La Vergine non può abbandonare i suoi figli prima della manifestazione pubblica e solenne della sua vittoria sul male. Madre di tutti, essa non potrebbe separarsi da noi che viviamo nella pena, sottoposti ad ogni tentazione, incapaci di sottrarci alla morte”.A chi è ignaro di storia cristiana tutto questo potrà sembrare incredibile, ma –come ha dimostrato lo storico Giorgio Fedalto, dell’Università di Padova, nel libro Le porte del Cielo (San Paolo editore)– i secoli cristiani, anche recenti, sono letteralmente pieni di grazie mistiche fatte a santi o normali cristiani che confermano la realtà dell’Aldilà. È insomma la Chiesa che – a uno sguardo attento – appare da secoli letteralmente immersa nel soprannaturale. Per quanto riguarda Medjugorje poi, è una sfida tuttora presente: prima di prendere posizione bisogna lealmente andare a vedere, indagare, studiare i fatti (come le varie équipe di studiosi) con obiettività. Altrimenti si esprimono solo pregiudizi infondati e si mostra solo la paura (oscurantista) di imbattersi in un fenomeno che sconvolge tutte le proprie idee.Ma torniamo alla “canonizzazione” del papa che ha fatto la Vergine stessa. C’è un precedente che ebbe protagonista padre Pio. Lo ha rivelato proprio di recente il Diario (appena pubblicato) del suo Direttore spirituale, padre Agostino da S. Marco in Lamis. In data 18 novembre 1958 scrive: “L’amato padre Pio vive la sua vita di preghiera e di intima unione col Signore sempre, può dirsi in tutti i momenti della giornata e del riposo notturno. Anche nelle conversazioni che può avere con i confratelli e con gli altri, egli conserva l’interna unione con Dio. Ha sofferto alcuni giorni fa un’otite dolorosa, per cui ha lasciato due giorni di confessare le donne. Ha sentito tutto il dolore della sua anima per la morte del Papa Pio XII (deceduto a Castelgandolfo alle ore 3,52 del 9 ottobre , ndr). Ma poi il Signore glielo ha fatto vedere nella gloria del Paradiso”.Come padre Pio, i mistici incontrano sempre grandi difficoltà ad essere accettati. Diceva il grande filosofo Bergson (che si convertì al cattolicesimo): “Il grande ostacolo che incontreranno è quello che ha impedito la creazione di un’umanità divina”. Giovanni Paolo II – che è stato un grande contemplativo – era invece profondamente aperto al soprannaturale. Come dimostra la sua venerazione per Helena-Faustina Kowalska (una delle più grandi mistiche del Novecento) che lui stesso ha contribuito a far accettare (anche al S. Uffizio, negli anni Sessanta), che lui ha canonizzato e per cui ha istituito la festa della Divina Misericordia che -nelle intenzioni del Papa- doveva essere la chiave di lettura del Novecento e della storia intera (come ha sottolineato anche nell’ultimo libro, Memoria e identità).Che la morte del Papa sia avvenuta proprio in questa festa (che inizia ai Vespri del sabato) è straordinariamente significativo. Anche perché era un “primo sabato” del mese, giorno in cui -secondo la pia pratica istituita dalla Vergine di Fatima- lei stessa chiama chi si affida a lei. L’ “implicazione” di papa Wojtyla con Fatima del resto è ormai notissima. Meno nota è la sua apertura a Medjugorje (ancora non riconosciute dalla Chiesa), ma sono tantissime e univoche le testimonianze. Cito due casi. I Vescovi dell’Oceano Indiano ricevuti dal Papa il 23 novembre 1993, a un certo punto -parlando di Medjugorje- si sentirono dire da lui: “Questi messaggi sono la chiave per comprendere ciò che avviene e ciò che avverrà nel mondo”.E a monsignor Krieger, già Vescovo di Florianopolis, in partenza per il villaggio della Bosnia, il 24 febbraio 1990, il Santo Padre disse: “Medjugorje è il centro spirituale del mondo”. Non a caso le apparizioni iniziarono all’indomani dell’attentato al papa, come per accompagnare e sostenere questa seconda fase del suo pontificato. Fin dall’inizio i veggenti hanno riferito che la Madonna definiva Giovanni Paolo II come il papa che lei stessa aveva scelto e donato all’umanità per questo tempo drammatico. La Madonna ha chiesto continuamente di accompagnarlo nella preghiera, un giorno ha baciato un quadro con la sua immagine e il 13 maggio 1982, un anno dopo l’attentato, ha detto ai ragazzi che i nemici volevano ucciderlo, ma lei lo ha protetto perché lui è il padre di tutti gli uomini.Il “caso” (se si può chiamarlo caso) ha voluto che un anno fa fosse fissato per la domenica 3 aprile 2005, a Milano, al Mazdapalace, un grande raduno di preghiera dei medjugorjani. Nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio quella notte il papa sarebbe morto. Così domenica scorsa, davanti a diecimila persone in preghiera per il Pontefice, padre Jozo Zovko, che era il parroco di Medjugorje all’inizio delle apparizioni, ha sottolineato questa misteriosa e significativa circostanza e ha voluto ricordare i suoi incontri con il papa e la sua benevolenza e la sua protezione.Sotto questo pontificato in effetti Medjugorje è diventato davvero uno dei centri del mondo cristiano. Sono milioni le persone che lì hanno ritrovato la fede e se stessi. In Italia è un mondo sommerso, ignorato dai media, ma bastava il colpo d’occhio al Mazdapalace di Milano per l’incontro di preghiera, o il grande numero di persone che ascoltano ogni giorno Radio Maria, per rendersi conto di quanto la Regina della Pace abbia ingrandito il suo regno sotto il pontificato di papa Wojtyla.Nella giornata di sabato 2 aprile, prima della morte del Papa, apparendo a un’altra dei sei veggenti, Mirjana, a Medjugorje, la Madonna -secondo le cronache- ha rivolto questo significativo invito: “In questo momento vi chiedo di rinnovare la Chiesa”. La ragazza ha osservato che era un compito troppo difficile, troppo grande. E la Madonna, secondo i resoconti medjugorjani, ha risposto: “Figli miei, io sarò con voi ! Apostoli miei, io sarò con voi e vi aiuterò ! Rinnovate prima voi stessi e le vostre famiglie, e vi sarà più facile”. Mirjana le ha ancora detto: “Stai con noi, Madre !”.

PADRE PIO 0

PADRE PIO

Dal diario di Padre Bonaventura da PavulloRiportare l’inizio del numero passatoOre 13,30Trattenuto da un gruppo di visitatori tedeschi, Padre Pio viene tardi in refettorio. Il suo pasto è semplice: due fette di prosciutto, mezza porzione di patate fritte, mezza fetta di melone invernale, due bicchieri di vino. A tavola la sua conversazione è quanto mai piacevole. Scherza con i confratelli e ride con un riso pieno, come quello di un bambino felice.Più tardi lo ritrovo davanti alla sua cella: parla con un confratello. Ha il capo scoperto, il volto sorridente, gioviale. Gli chiedo perché non porti lo “zucchetto.- Perché me lo cambiavo continuamente – risponde – Mi basta, per distrazione, lasciarlo qui attorno e… Così, se non mi portano via la testa!… – Ride di cuore.Qualcuno gli dice:- Bada, Padre Pio, di far bene i santi Esercizi!E lui, accennando a me:- Ma! Si vedrà, dopo la votazione del Predicatore! – E mi sfiora la mano che tenevo nascosta nella manica.Ora sono qui, solo con me stesso. Tre sole celle mi separano dalla sua. E qui, tra queste mura ove lui fino a poco tempo fa celebrava così come l’ho visto celebrare stamane, sento di vivere una realtà che ha quasi sapore di un sogno.Lunedì, 16Ieri ho potuto constatare come la pressante insistenza dei visitatori stanchi Padre Pio. L’ho visto passare nel corridoio attorniato da una quindicina di ragazzi, e l’ho sentito lamentarsi di tanta inopportuna tenacia.Ora, sono le 8.3/4, qui in cella avverto ancora sulle labbra, distintamente, l’impressione di quella crosta grumosa che poco fa ho baciata. Il Padre stesso, offrendomi la mano stigmatizzata, mi ha calcato sulla bocca il palmo ferito, ed è stato allora che ho avvertito lievissimo un profumo che non saprei definire, ma che forse ricorda il gradevole odore della vainiglia. Quella mano si è poi levata due volte ad accarezzarmi dolcemente il viso, e due volte il Padre mi ha baciato.Sono quasi diciannove anni che egli porta nel corpo il segno della Passione di Cristo. L’ho saputo dal Padre Emanuele, laureato in Sacra Scrittura e Direttore dello Studio di teologia di Campobasso. Mi ha detto di essere stato qui, collegiale, nel periodo della guerra. Padre Pio, allora Direttore del Collegetto, non aveva ancora le stigmate. Chiamato ad indossare la divisa militare, ma ben presto riformato a causa di altissime febbri di natura non diagnosticata, una volta tornato nella quiete della cella ebbe le mani, i piedi ed il costato segnati da ferite insanabili.Padre Emanuele mi confessa di salire di tanto in tanto quassù per chiedere e ricevere dal Padre preziosi consigli.     – Prescindendo dal lume divino che lo assiste – egli dice – le sue parole suonano colme di praticità e di sapienza umana.Ha ragione: è piacere e meraviglia l’ascoltarlo.Mancava poco a mezzogiorno quando, passando davanti alla sua cella, ho visto Padre Pio intento a cercare non so cosa. Mi ha sorriso. Dalla porta aperta ho intravisto il letto, il tavolo con su un Crocifisso ed un grande Gesù Bambino. Ho chiesto al Padre quando sarei potuto andare da lui.- Quando vuole – mi ha risposto – ma poi verrò io in camera sua.Attendo questo momento con ansia.A refettorio ho sentito leggere in piedi un brano del Vangelo con partecipazione e sentimento davvero singolari.Grande attenzione l’ha prestata anche alla lettura del necrologio. Ho constatato che quando egli si concentra il suo volto impallidisce e i lineamenti, assorti, mutano quasi fisionomia. Ma poi, una volta uscito dal raccoglimento, si rifà subito disteso, gioviale, a volte arguto.Dopo la visita in chiesa mi sono soffermato nel corridoio con il Padre Segretario, il Padre Emanuele, Padre Giovanni e padre Vittore. Nel vano di un finestrone si chiacchierava del più e del meno quando ci ha raggiunto Padre Pio. Rideva:- Non so che colpo di testa abbia avuto il Guardiano stamattina. Erano le 5, e non le 5,45 quando s’è messo a suonare la sveglia!Quando, dopo avergli fatto notare l’ora precisa si era sentito rispondere: “Ma se non mi sono ancora lavato la faccia!”, il Padre pronto aveva replicato: “E’ proprio per questo allora che non ci vedi bene!”.Di queste piccole cose egli ride per primo e di gusto, con una semplicità che veramente incanta. Niente della sua espressione ricorda allora i momenti di intimo raccoglimento, e meno che mai quelli drammatici da lui vissuti ogni mattina sull’altare.Questa sera il Padre Emanuele e il Segretario Provinciale partiranno. Scenderanno a Foggia con la macchina dell’On.le Caradonna, ex Segretario al Ministero dei Lavori Pubblici, che stamane ha accompagnato in visita da Padre Pio la Signora dell’Onorevole. Anche lui viene qualche volta per parlare con il Padre; e spesso viene l’On.le Landini, Ministro delle Corporazioni. Ho saputo poi che presto verrà anche il Principe Umberto.Martedì, 17Ieri sera, dopo la lettura in Coro, mentre gli altri ad uno ad uno uscivano, mi sono attardato, solo, con il Padre. Nella posizione a lui consueta pregava con il capo reclinato sulle braccia conserte avvolte nel mantello. Non ho osato disturbare il suo raccoglimento in Dio.Stamani mi sono levato un po’ prima del solito per rivedere gli appunti della predica. Quando sono arrivato in Coro non c’era ancora nessuno. Mi sono messo a recitare il Mattutino; poi è venuto Padre Pio. Guardandolo, ho notato sulla mano destra tracce di sangue fresco.Alle 7 è sceso a celebrare all’altare dell’Immacolata; è un altare ricavato nel muro della chiesina e i fedeli gli si assiepano intorno. Alle 7,15 è uscita la mia Messa. Gli altari sono vicini, e nel voltarmi ho visto molto bene il Padre, ma non ho potuto accontentarmi di nient’altro se non di un’occhiata fugace. Pur avendo iniziato a celebrare un quarto d’ora dopo il Padre, e pur essendomi attardato specie sull’ultimo Evangelo, ho ridisceso i gradini dell’altare molto prima di lui.L’ho atteso come il solito in sagrestia; e quando l’ho visto procedere con le mani giunte, ho notato nuovamente l’indice bagnato di sangue vivo. Prima che iniziasse a spogliarsi dei paramenti mi sono chinato a baciare la mano stigmatizzata. Dopo, il mio tempo è stato assorbito da Padre Ermenegildo, Guardiano di Campobasso. Egli si è intrattenuto a lungo con me narrandomi tra l’altro di quando, studente, passando da Pietrelcina, aveva incontrato Padre Pio, allora ragazzo di circa 13 anni: un giovanetto che fin d’allora si capiva portato al misticismo, ma che certo non lasciava prevedere ciò che in seguito sarebbe diventato.Ore 17,30Deo gratias! Finalmente questa sera è venuto. Si è seduto qui, di fronte a me, e siamo rimasti assieme più di un’ora. Sorridente, cordiale, scherzoso, mi ha chiesto se la condotta da lui tenuta nel corso degli Esercizi meriti il 5. poi, subito dopo la conversazione, ha assunto un altro tono. Erano tante le domande che mi salivano alle labbra e che da tempo avrei voluto rivolgergli, ed ora mi sembrava di non saperle più nemmeno formulare. Ma lui era lì, col suo sorriso invitante.- Perché il mondo non si converte? – ho chiesto. Pronta la sua risposta:- E’ impossibile, perché mancherebbe il nemico della Chiesa di Dio.     – Quale sarà il giudizio riservato agli idolatri e a chi si dice cristiano senza esserlo davvero?- Saranno giudicati secondo la conoscenza che avranno avuto della legge rivelata. Per questi basterà che credano implicitamente; per gli altri penserà il Signore con un’illuminazione particolare, o in altro modo, a salvarli.- Anche Mons. Bonomelli in “Dottrina consolante” crede possibile tale illuminazione.- Sì. Certo. Al Signore non mancano i mezzi per salvare le anime. Non è detto che la Grazia divina sia legata ai soli Sacramenti. Ce n’è uno, l’ottavo, che non ha istituito Nostro Signore e che ha tanto potere di salvezza: è dogma infatti che il Signore sia morto per tutti e che tutti vuole salvi. E questa non è volontà da burla: è volontà salvifica. Ora, se per salvarsi ci vuole la Grazia, è un fatto che Egli non la negherà a nessuno.Ha sorriso.- Un giorno – ha ripreso dopo un po’ – Pio X, non ancora Pontefice, passava vicino ad un cimitero israelita. Si accompagnava ad un Vescovo. Recitiamo un De profundis, disse; e subito iniziò la preghiera. Ma l’altro lo interruppe, ricordandogli che quelle tombe accoglievano ebrei. Andiamo pure avanti, disse lui, e preghiamo: perché dobbiamo credere che nostro Signore abbia criteri di giudizio ben diversi dai nostri. Questo argomento mi ha posto sulle labbra una domanda:- Possono vederci i nostri morti?- Se in Paradiso non v’ha dubbio. Se in Purgatorio, è credenza comune dei fedeli; e vi sono buone ragioni per affermarlo. Io credo comunque che ci vedano almeno indirettamente in Dio e a mezzo dell’Angelo Custode.- Si può pensare -ho chiesto- che in vista dei suffragi che verranno poi senz’altro fatti, l’anima possa godere subito il Paradiso?- Credo di sì. I Santi dell’Antico Testamento vennero premiati e salvati in vista della Redenzione non ancora avvenuta. In Dio non v’è passato e non c’è futuro, quindi Egli può anticipare senz’altro l’ingresso in Cielo. In quanto ai suffragi, non si possono forse far celebrare le Messe Gregoriane per se stessi quando si è ancora in vita? Sono infiniti infatti i mezzi di salvezza di cui si serve Dio. Quelli a noi rivelati sono i Sacramenti e sono quelli che danno a Dio maggior gloria; ma quanti altri Egli ne avrà a disposizione? Noi, ad esempio, dobbiamo pregare per i peccatori: è dovere ed è opera di carità. Ma ricordiamo che queste preghiere non sono condizione di salvezza. Il Signore solo può tutto. Io -ha concluso dopo una breve pausa- io che ho il cuore appena inzuccherato non lascerei che nessuno si perdesse. E Gesù, infinita bontà, sarà da meno?È l’ora dell’istruzione in Coro. Si alza, e in corridoio, prima di lasciarmi, dice:- Il Signore è molto più buono di quanto noi pensiamo. E sorridendo mi promette che tornerà domani