Categoria: DOTTRINA CATTOLICA

Dizionario del ministrante 0

Dizionario del ministrante

COSA SIGNIFICA …AMBONE. Luogo elevato, da cui si svolge la proclamazione dei testi biblici, del salmo responsoriale e dell’Exsultet pasquale; è anche il luogo dell’omelia e delle intenzioni per la preghiera dei fedeli. Non è invece destinato alla lettura d’avvisi e alla proposta dei canti. L’ambone presenta per lo più una configurazione artistica ed è dotato di un leggio.BATTISTERO. Cappella per il Battesimo, per lo più rotonda od ottagonale; di regola complesso architettonico delle antiche chiese episcopali. Nelle chiese parrocchiali si trova normalmente solo un FONTE BATTESIMALE.EVANGELIARIO. Libro liturgico con il testo dei Vangeli.LEGGIO. Arredo su cui si appoggiano i libri sacri. Ritrova normalmente all’ambone con il Legionario, secondo una vecchia abitudine, al momento della presentazione delle offerte, è posto talvolta sull’altare un leggio portatile per il Messale.LEZIONARIO. Libro liturgico contenente le letture della Sacra Scrittura, destinate alla Messa o ad altre celebrazioni.MESSALE. Libro per la celebrazione della Messa; contiene le orazioni del sacerdote, quelle fisse e quelle variabili.PRESBITERIO. Nelle basiliche, la zona dell’altare per motivi pratici è stata delimitata ben presto da cancelli, dai quali in seguito si è sviluppata la BALAUSTRA per la distribuzione della Comunione. Oggi il presbiterio è posto in evidenza rispetto al resto del vano mediante un leggero rialzo. Il termine indica anche l’insieme dei Sacerdoti di una diocesi, che guidano la Chiesa facendo capo al Vescovo.PULPITO. Luogo della predicazione, sistemato per lo più contro una colonna o sul lato più lungo della navata centrale della chiesa.RITUALE. Libro liturgico per la celebrazione dei Sacramenti.TABERNACOLO. Luogo per la custodia dell’Eucaristia.   CHI E’ …CERIMONIERE. Colui che è incaricato di preparare le celebrazioni più complesse. Coordina i diversi servizi e fa in modo che tutto si svolga ordinatamente e con tranquillità.CEROFERARIO. Ministrante che porta la torcia.CROCIFERO. Ministrante che apre la processione portando la Santissima Croce. L’immagine di Cristo è rivolta in direzione della processione. Solo quando è presente un arcivescovo, la croce viene portata in modo che questi possa vedere l’immagine di Cristo.LETTORE. Il fedele incaricato della lettura dei testi biblici, con esclusione del Vangelo, nella Messa e in altre celebrazioni.TURIFERARIO. Inserviente che porta il turibolo. COSA E’ …ASPERSORIO. Ciuffo di crini, o piccola spugna chiusa in una sfera metallica cava e perforata, usato per l’aspersione con acqua benedetta.CAMICE. Veste per la liturgia di stoffa bianca. In origine, abito di base per tutti gli inservienti in qualsiasi tipo di celebrazione; oggi viene spesso sostituito dalla cotta.CINGOLO. Cintura da cingersi alla vita sopra il camice.CORPORALE. Piccolo panno di lino su cui vengono posti il calice e la patena durante la celebrazione della Messa, o il Santissimo Sacramento per la custodia e l’esposizione.COTTA. Sopravveste bianca, spesso ornata di pizzo, lunga fino al ginocchio, con maniche corte e larghe, da indossare sopra la Talare.DALMATICA. Veste propria del diacono, da indossarsi opra il camice e la stola.MITRA. Copricapo liturgico specifico, proprio del Vescovo, che lo porta durante le processioni, quando sta alla cattedra episcopale, quando dà una benedizione solenne e durante altre azioni importanti.NAVICELLA. Recipiente così chiamato per la sua forma e destinato a contenere i grano d’incenso.OSTENSORIO. Arredo che consente di esporre il Santissimo Sacramento per l’adorazione.PALLA. Piccolo telo di lino, di forma quadrata, per lo più inamidato, che serve a coprire il calice e la patena.PATENA. Recipiente per le ostie; dall’originaria forma a scodella si è ridotta ad un piattino.PIANETA. Paramento che il sacerdote celebrante indossa sopra il camice e la stola: è confezionato nei vari colori liturgici.PISSIDE o CIBORIO. Contenitore per la custodia o il trasporto della Santa Comunione sotto la specie del pane.PIVIALE. Veste liturgica usata originariamente per le processioni e in seguito anche per la Liturgia delle Ore nelle feste solenni.PURIFICATOIO. Piccolo panno di lino, dalla forma e dalla misura di un fazzoletto, che serve ad asciugare il calice, a pulire la patena e il bordo del calice.STOLA. Importante insegna, che fa parte delle vesti liturgiche, è a forma di sciarpa.TURIBOLO. Recipiente a cui sono issate delle catenelle e chiuso da un coperchio con fori. Contiene un secondo recipiente con carboni accesi, sui quali bruciano grani d’incenso.

SINTESI DEL NUOVO CATECHISMO 0

SINTESI DEL NUOVO CATECHISMO

PARTE PRIMA

LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE PRIMA

Io credo, noi crediamo

Capitolo primo

L’uomo è «capace» di Dio

1. Perché dobbiamo parlare di Dio?
Perché l’uomo è per natura e per vocazione un essere religioso. Da Dio viene e a Dio ritor­na. L’uomo è creato per vivere in comunione con Dio, nel quale trova la propria felicità. [214, 384]

2. L’uomo con la sua ragione può conoscere Dio?
L’uomo con la sua ragione può conoscere Dio e giungere alla certezza della sua esistenza ascoltando il messaggio delle creature e la voce della propria coscienza.

3. Possiamo noi parlare di Dio?
Noi possiamo parlare di Dio partendo dalle molteplici perfezioni delle creature, similitudini del Dio infinitamente perfetto, anche se il nostro linguaggio limitato non ne esaurisce il mistero.

Capitolo secondo

Dio viene incontro all’uomo

4. Dio ha parlato all’uomo?
Per amore, Dio si è rivelato e si è donato all’uomo. Egli offre così una risposta definitiva e sovrabbondante agli interrogativi che l’uomo si pone sul senso e sul fine della propria vita.

5. Quando Dio ha parlato all’uomo?
Dio si è manifestato innanzitutto ai nostri progenitori e in seguito, dopo la loro caduta nel peccato, ha promesso la salvezza e offerto la sua Alleanza. Si è poi rivelato pienamente mandan­do il proprio Figlio, Gesù Cristo. [40 ss.]

6. Dove è contenuta la Rivelazione divina?
La Rivelazione divina è contenuta nella Sa­cra Scrittura, o Bibbia, e nella Tradizione.

7. Che cos’è la Sacra Scrittura?
La Sacra Scrittura è l’insieme dei libri sacri, ispirati da Dio. Essa comprende i 46 libri del­l’Antico Testamento e i 27 libri del Nuovo Testamento.

8. Chi è l’autore della Sacra Scrittura?
L’autore della Sacra Scrittura è Dio, il quale ispira i vari autori umani. Così noi abbiamo la certezza che i loro scritti insegnano senza er­rore la verità che salva.

9. Che cos’è la Tradizione?
La Tradizione è l’insegnamento che è stato affidato da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli e che da essi è giunto sino a noi.

10. Chi può interpretare autorevolmente la Bibbia o la Tradizione?
La parola di Dio scritta o trasmessa può es­sere interpretata autorevolmente dal solo Ma­gistero vivo della Chiesa Cattolica, cioè dal Pa­pa e dai Vescovi uniti con Lui. [196]

Capitolo terzo

La risposta dell’uomo

11. Come risponde l’uomo alla chiamata di Dio?
L’uomo risponde alla chiamata di Dio in­nanzitutto mediante la fede.

12. Che cos’è la fede?
La fede è l’adesione dell’intelligenza e della volontà alla Rivelazione divina. [247]

13. E’ necessario credere per salvarsi?
La fede è necessaria alla salvezza, come il Signore stesso ha detto: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16).

14. Esiste una formulazione breve delle verità in cui dobbiamo credere?

Sì, esistono varie formulazioni delle verità della fede. Una delle più brevi e delle più anti­che è il cosiddetto «Simbolo degli Apostoli»: Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

La salvezza di Dio: la Legge e la Grazia 0

La salvezza di Dio: la Legge e la Grazia

Scritto il 25 Giugno 2009.LA LEGGE MORALE
278.Che cos’è la legge?Secondo la Scrittura, la legge è un’istruzione paterna di Dio, che prescrive all’uomo le vie che conducono alla beatitudine promessa e vieta le strade del male. La si può definire in generale così: «Un comando della ragione, ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una comunità». 279.Che cos’è la legge naturale?La legge naturale è una partecipazione alla sapienza e alla bontà di Dio da parte dell’uomo, plasmato a immagine del suo Creatore. Essa esprime la dignità della persona umana e costituisce il fondamento dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali. 280.La legge naturale è immutabile?La legge naturale è immutabile e permane inalterata attraverso la storia. Le norme che ne sono l’espressione restano sostanzialmente valide. E’ un fondamento necessario all’ordinamento delle regole morali e alla legge civile. 281.Che cos’è la Legge antica?La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue prescrizioni morali sono riassunte nei dieci comandamenti. Essa è una preparazione al Vangelo. 282. Qual è il rapporto fra Legge antica e legge naturale?La Legge di Mosè comprende molte verità naturalmente accessibili alla ragione. Dio le ha rivelate perché gli uomini non riuscivano a leggerle nel loro cuore. [312] 283. Qual è la caratteristica fondamentale della Legge nuova?E’ la Grazia dello Spirito Santo che è data mediante la fede in Cristo. La Legge nuova o evangelica trova la sua principale espressione nel Discorso del Signore sulla montagna e si serve dei sacramenti per comunicarci la Grazia.[129 ss., 291]284. Qual è il rapporto fra Legge nuova e Legge antica?La Legge evangelica dà compimento, supera e porta alla perfezione la Legge antica: le sue promesse attraverso le beatitudini del Regno dei cieli e i suoi comandamenti attraverso la trasformazione della radice delle azioni, il cuore. 285.Quali sono le note essenziali della Legge nuova?La Legge nuova è una legge di amore, una legge di Grazia, una legge di libertà. 286.La Legge nuova comprende soltanto dei precetti?Oltre ai precetti, la Legge nuova comprende i consigli evangelici. La santità della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli di cui il Signore nel Vangelo propone l’osservanza ai suoi discepoli.GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE 287.Che cosa ci conferisce la Grazia dello Spirito Santo?La Grazia dello Spirito Santo ci conferisce la giustizia di Dio. Unendoci mediante la fede e il Battesimo alla Passione e alla Risurrezione di Cristo, lo Spirito ci rende partecipi della sua vita.288.Che cos’è la giustificazione?E’ il passaggio dal peccato allo stato di Grazia, per cui il peccatore diventa giusto. 289.Che cosa comporta la giustificazione?La giustificazione, non diversamente dalla conversione, presenta due aspetti. Sotto la mozione della Grazia, l’uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo cosi il perdono e la giustizia dall’Alto. Essa comporta la remissione dei peccati, la santificazione e il rinnovamento dell’uomo interiore. [175] 290.Perché la giustificazione è così preziosa?La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo. Ci è accordata attraverso il Battesimo. Ci conforma alla giustizia di Dio, il quale ci rende giusti. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo e il dono della vita eterna. E l’opera più eccellente della misericordia di Dio. 291.Che cos’è esattamente la Grazia?La Grazia in generale è l’aiuto che Dio ci dà perché rispondiamo alla nostra vocazione di diventare suoi figli adottivi. Essa ci introduce nell’intimità della vita trinitaria. 292.Qual è il rapporto fra Grazia e libertà?L’iniziativa divina nell’opera della Grazia previene, prepara e suscita la libera risposta dell’uomo. La Grazia risponde alle profonde aspirazioni della libertà umana; la invita a cooperare con essa e la perfeziona. 293.Che cos’è la Grazia santificante?E’ il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa dallo Spirito Santo nella nostra anima per guarirla dal peccato e santificarla. Essa ci rende graditi a Dio. 294.Che cosa sono i carismi?Sono grazie speciali dello Spirito Santo ordinati alla Grazia santificante e aventi come fine il bene comune della Chiesa. 295.Che cosa sono le grazie attuali?Sono interventi divini con cui Dio inizia e porta avanti l’opera della nostra santificazione.296. Come è possibile avere dei meriti di fronte a Dio?Non c’è per noi merito davanti a Dio se non come conseguenza del suo libero disegno di associare l’uomo all’opera della sua Grazia. Il merito è da ascrivere in primo luogo alla Grazia di Dio, in secondo luogo alla collaborazione dell’uomo. Il merito dell’uomo spetta anch’esso a Dio. 297.Da che cosa dipende esattamente il nostro merito?Dalla mozione dello Spirito Santo e dalla carità. 298.E’ possibile meritare la prima Grazia, che sta all’inizio della conversione?No, nessuno può meritare la Grazia prima, che sta all’origine della conversione. Sotto la mozione dello Spirito Santo possiamo però in seguito meritare per noi stessi e per gli altri tutte le grazie utili per giungere alla vita eterna.[174] 299.In che cosa consiste la santità cristiana?La santità cristiana consiste essenzialmente nella perfezione della carità. 300.Chi è chiamato alla santità?Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità. La perfezione cristiana non ha che un limite: quello di non averne alcuno. 301. Vi è qualche passaggio obbligato nel cammino verso la santità?Sì, il cammino della perfezione passa attraverso la croce: «Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).LA CHIESA MADRE E MAESTRA 302C’è un legame fra Liturgia e vita morale?Certamente. La vita morale è un culto spirituale. L’agire cristiano trova il proprio nutrimento nella Liturgia e nella celebrazione dei sacramenti. 303.Quale è l’ambito dei precetti della Chiesa?I precetti della Chiesa riguardano la vita morale e cristiana, che è sempre unita alla Liturgia, della quale si nutre. 304.Quali sono i precetti della Chiesa?I precetti della Chiesa sono cinque:1) Parteciperai alla Messa la domenica e le altre feste comandate.2) Confesserai tutti i tuoi peccati almeno una volta all’anno.3) Riceverai umilmente il tuo Creatore almeno a Pasqua.4) Santificherai le feste che ti sono comandate.5) Osserverai il digiuno prescritto e parimenti l’astinenza. 305.Dove si esercita normalmente il Magistero della Chiesa in campo morale?Il Magistero dei pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si esercita nella catechesi e nella predicazione, sulla base del Decalogo, il quale enuncia i princìpi della vita morale validi per tutti gli uomini. 306. Papa e i vescovi possono dare direttive in campo morale?Il Romano Pontefice e i vescovi, quali maestri autentici, predicano al Popolo di Dio la fede che deve essere creduta e applicata nei costumi. E’ anche di loro competenza pronunciarsi sulle questioni morali che hanno attinenza con la legge naturale e la ragione. 307.L’infallibilità del Magistero si estende anche alla morale?L’infallibilità del Magistero dei pastori si estende a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte od osservate.

La legge Divina 0

La legge Divina

La legge divina si esprime nei comandamenti di Dio e nei precetti della Chiesa. I comandamenti e i precetti sono la sintesi concreta di tutto ciò che l’uomo deve fare o evitare per acquisire le virtù, conquistare la vera libertà e raggiungere il Sommo Bene.
Dio ha dato la sua legge perché l’uomo non si inganni su ciò che è il suo vero bene.
Spesso infatti capita che le persone si rifiutino di capire per evitare di compiere il bene, cioè trovano molte argomentazioni per giustificarsi, e fare ciò che è più facile e comodo invece di ciò che è giusto.
Ogni comandamento o precetto contiene una parte positiva (i “comandi” che si devono eseguire) per realizzare il bene, e una parte negativa (i “divieti” che si devono osservare) per evitare il male.
I comandamenti si possono paragonare alla “ricetta del medico”. Il medico nella sua prescrizione compendia la sua scienza: comanda ciò che dobbiamo fare e indica ciò che dobbiamo evitare per acquistare e mantenere la salute e il benessere fisico. Così Dio con i comandamenti prescrive ciò che deve essere compiuto e proibisce ciò che deve essere evitato perché raggiungiamo e conserviamo la nostra salute e bellezza interiore, conformante alla dignità umana e alla nostra adozione a suoi figli.
Gesù Cristo, che è «la via, la verità e la vita», è il Maestro che ci insegna come vanno osservati in modo perfetto i comandamenti e i precetti.

139. Che cos’è la legge di Dio?
È la via che Dio ci indica per condurci alla piena realizzazione di noi stessi e al raggiungimento del fine della nostra vita, che è la felicità eterna.

140. Come si divide la legge di Dio?
La legge di Dio si divide in legge naturale e legge rivelata.

141. Che cos’è la legge naturale?
È quella legge scritta nel cuore di ogni uomo che impone innanzitutto di fare il bene e di evitare il male. Essa comanda poi di agire sempre secondo la ragione per raggiungere i beni fondamentali dell’uomo, cioè la conservazione della propria esistenza, la procreazione e l’educazione dei figli, la ricerca della verità, soprattutto la verità su Dio e la costruzione di una società umana basata sulla giustizia.

142. Che cos’è la legge rivelata?
È quella legge promulgata da Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento.

143. Che cosa aggiunge la legge rivelata alla legge naturale?
Aggiunge essenzialmente i due precetti della carità insegnatici da Gesù:
1.Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
2.Amerai il prossimo tuo come te stesso.

144. Dove è sintetizzata tutta la legge divina sia quella naturale che quella rivelata?
La legge di Dio è sintetizzata nei dieci comandamenti. A ciò vanno aggiunti poi i precetti della Chiesa.

145. Quali sono i dieci comandamenti?
I dieci comandamenti sono:
Io sono il Signore Dio tuo:
1.Non avrai altro Dio fuori di me.
2.Non nominare il nome di Dio invano.
3.Ricordati di santificare le feste.
4.Onora il padre e la madre.
5.Non uccidere.
6.Non commettere atti impuri.
7.Non rubare.
8.Non dire falsa testimonianza.
9.Non desiderare la donna d’altri.
10.Non desiderare la roba d’altri.

146. Che cosa prescrivono i precetti della Chiesa?
In precetti della Chiesa prescrivono la partecipazione alla Messa la domenica e le altre feste comandate, la confessione almeno una volta all’anno e la comunione almeno nel periodo pasquale, la pratica penitenziale del venerdì e il digiuno nei giorni prescritti (cioè il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo). Inoltre ci ricordano che dobbiamo venire incontro alle necessità materiali della Chiesa secondo le nostre possibilità.

147. Che cosa dobbiamo considerare in ogni comandamento o precetto?
In ogni comandamento o precetto dobbiamo considerare la parte positiva, che ci indica quanto dobbiamo fare, e la parte negativa, che ci indica quanto dobbiamo evitare.

La vocazione dell’uomo: la vita nello Spirito 0

La vocazione dell’uomo: la vita nello Spirito

La dignità della persona umana
L’uomo immagine di Dio

213. Come conosciamo noi la vera vocazione dell’uomo?
È Cristo che svela pienamente l’uomo all’uomo e gli rende nota la sua altissima vocazione.

214. Qual è questa vocazione dell’uomo?
Dotata di un’anima spirituale, di intelligenza e di volontà, la persona umana fin dal suo concepimento è ordinata a Dio e destinata alla beatitudine eterna. Essa raggiunge la propria perfezione nel cercare e amare il vero e il bene.

215. Quale deve essere il comportamento morale dell’uomo?
L’uomo, che è dotato di vera libertà, segno altissimo dell’immagine divina in lui, è tenuto a seguire la legge morale che lo spinga a fare il bene e a fuggire il male. Questa legge risuona nella sua coscienza.

216. La libertà dell’uomo è inclinata ugualmente al bene e al male?
L’uomo, ferito nella propria natura dal peccato originale, è soggetto all’errore e incline al male nell’esercizio della sua libertà. [38]

217. Come possiamo superare questa inclinazione?
Con la sua Passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci ha meritato la vita nuova dello Spirito. La sua Grazia restaura ciò che il peccato aveva deteriorato.

218. Quale sarà il compimento della vita morale?
La vita morale,cresciuta e maturata nella Grazia, arriva a compimento nella gloria del cielo, dove si realizzeranno le beatitudini evangeliche.
LA NOSTRA VOCAZIONE ALLA BEATITUDINE

219. Qual è il significato delle beatitudini evangeliche nella nostra vita?
Le beatitudini evangeliche ci insegnano qual è il fine ultimo al quale Dio ci chiama: il Regno, la visione di Dio, la partecipazione alla natura divina, la vita eterna, la filiazione divina, il riposo in Dio.

220. Le beatitudini ci indicano anche la via da seguire per andare in cielo?
Sì, le beatitudini ci mettono di fronte a scelte decisive riguardo ai beni terreni: esse purificano il nostro cuore per renderci capaci di amare Dio al di sopra di tutto e ci danno i criteri di discernimento nell’uso dei beni terreni in conformità alla legge di Dio.

221. La beatitudine della vita eterna è raggiungibile con le sole forze umane?
No, la beatitudine della vita eterna è un dono gratuito di Dio: è soprannaturale al pari della Grazia che ad essa conduce.

LA LIBERTÀ DELL’UOMO

222. Che cos’è la libertà?
La libertà è il potere di agire o di non agire e di porre così da se stessi azioni deliberate.
Essa raggiunge la perfezione del suo atto quando è ordinata a Dio, Bene supremo.

223. Perché Dio ci ha lasciati liberi?
Dio ha lasciato l’uomo «in balia del suo proprio volere» (Sir 15,14) perché potesse aderire al suo Creatore liberamente, e così giungere alla beata perfezione.

224. Che cosa comporta per l’uomo l’essere libero?
La libertà caratterizza gli atti propriamente umani. Rende l’essere umano responsabile delle azioni che volontariamente compie. Il suo agire libero gli appartiene in proprio.

225. Ci sono dei fattori che diminuiscono la responsabilità?
La responsabilità e l’imputabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dalla violenza dal timore e da altri fattori psichici o sociali.

226. L’uomo ha il diritto di esercitare la propria libertà?
Il diritto all’esercizio della libertà è un’esigenza inseparabile dalla dignità dell’uomo, particolarmente in campo religioso e morale. Però l’esercizio della libertà non implica il diritto di dire o fare qualsiasi cosa.

227. Chi ci dona la vera libertà?
Gesù, il quale «ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1).

LA MORALITÀ DEGLI ATTI UMANI

228. Da che cosa dipende la moralità degli atti umani?
La moralità degli atti umani dipende: 1) dall’oggetto scelto; 2) dal fine che ci si prefigge; 3) dalle circostanze dell’azione. Oggetto, fine e circostanze prendono il nome di «fonti» della moralità.

229. In che modo l’oggetto specifica l’atto del volere?
L’oggetto scelto specifica l’atto del volere in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica buono o cattivo.

230. Si può compiere un’azione cattiva per un fine buono?
No, il fine non giustifica i mezzi. Non è lecito compiere un male perché ne derivi un bene.

231. Che cosa si richiede perché un atto sia moralmente buono?
Perché un atto sia moralmente buono si richiede che siano buoni l’oggetto, il fine e le circostanze.

LA MORALITÀ DELLE PASSIONI

232. Che cosa si intende per «passioni»?
Il termine «passioni» indica gli affetti e i sentimenti.

233. Quali sono le passioni principali?
Sono l’amore e l’odio, il desiderio e il timore, la gioia, la tristezza, e la collera.

234. Le passioni sono buone o cattive?
Nelle passioni, intese come moti della sensibilità, nella misura in cui dipendono o no dalla ragione e dalla volontà, c’è in esse il bene o il male morale. Esse possono venire assunte nelle virtù o pervertite nei vizi.

235. La perfezione del bene morale esige l’eliminazione delle passioni?
No: la perfezione del bene morale si ha quando l’uomo non è indotto al bene dalla sola volontà, ma anche dal suo «cuore».

La coscienza

236. Che cos’è la coscienza?
La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto. Essa è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova da solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria.

237. La coscienza deve essere educata?
Sì, la coscienza deve essere educata e formata. Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore.

238. Bisogna sempre obbedire alla coscienza?
Non si può mai andare contro la coscienza. Però la coscienza morale può trovarsi nell’ignoranza o dare giudizi erronei. Ora, tali ignoranze ed errori non sono sempre esenti da colpevolezza. Vi è quindi l’obbligo di rettificare e formare la coscienza.

239. Come si può formare la coscienza?
La parola di Dio è una luce sui nostri passi. Dobbiamo assimilarla nella fede e nella preghiera, guidati dall’insegnamento sicuro della Chiesa, e dobbiamo metterla in pratica. In tal modo si forma la coscienza morale.

Le virtù

240. Che cosa sono le virtù?
Le virtù sono disposizioni abituali e ferme a compiere il bene. Più precisamente sono disposizioni stabili dell’intelligenza e della volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede. Possono essere raggruppate attorno a quattro virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.

241. Che cos’è la prudenza?
La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo.

242. Che cos’è la giustizia?
La giustizia è la virtù che consiste nella volontà costante e ferma di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto.

243. Che cos’è la fortezza?
La fortezza è la virtù che assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene.

244. Che cos’è la temperanza?
La temperanza è la virtù che modera l’attività dei piaceri sensibili e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati.

245. Come possono crescere le virtù morali?
Le virtù morali crescono per mezzo dell’educazione, di atti deliberati e della perseveranza nello sforzo. La Grazia divina le purifica e le eleva.

246. Oltre a quelle morali vi sono altre virtù?
Sì, oltre alle virtù morali vi sono quelle teologali, cioè la fede, la speranza e la carità, che dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno Dio come origine, motivo e oggetto. Dio conosciuto mediante la fede, oggetto di speranza, amato per se stesso. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.

247. Come opera in noi la fede?
Per la fede noi crediamo in Dio e crediamo tutto ciò che Egli ci ha rivelato e che la Santa Chiesa ci propone a credere. [12]

248. Come opera in noi la speranza?
Per la speranza noi desideriamo e aspettiamo da Dio, con ferma fiducia, la vita eterna e la Grazia per meritarla.

249. Come opera in noi la carità?
Per la carità noi amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio. Essa «il vincolo di perfezione» (Col 3, 14) è la forma di tutte le virtù.

250. Quali sono i sette doni dello Spirito Santo?
I sette doni dello Spirito Santo dati ai cristiani sono la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio.

LA COSCIENZA 0

LA COSCIENZA

di P. Raimondo Marchioro

1) La nozione
La coscienza (dal lat. «cum» = con, e «scire» = sapere) è un giudizio pratico con il quale giudichiamo volta per volta ciò che è da farsi, perché buono, e ciò che è da evitarsi, perché cattivo.

2) La divisione
La coscienza riguardo al tempo può essere antecedente e conseguente.
La coscienza antecedente è quella che giudica circa l’onestà o la disonestà dell’azione prima della sua esecuzione.
La coscienza conseguente è quella che giudica dell’onestà o della disonestà dell’azione dopo la sua esecuzione.
La coscienza riguardo all’oggetto può essere vera (retta) o falsa (erronea).
La coscienza vera (retta) è quella che giudica lecito o illecito ciò che realmente è tale.
La coscienza falsa (erronea) è quella che giudica lecito ciò che in realtà è illecito o viceversa.
La coscienza riguardo all’abitudine può essere delicata o scrupolosa o perplessa o lassa.
La coscienza delicata è quella che percepisce anche i più lievi motivi dell’onestà o della disonestà delle azioni.
La coscienza scrupolosa è quella che per un futile motivo, del tutto da disprezzarsi, vede il peccato dove non c’è, o grave dove è solo leggero.
La coscienza perplessa è quella che teme di peccare sia nel fare che nell’omettere un’azione.
La coscienza lassa è quella che per lievi ragioni giudica lecito ciò che è illecito o leggero ciò che è grave.
La coscienza riguardo all’assenso può essere certa o dubbia o probabile.
La coscienza certa è quella che giudica che qualche cosa è lecito o illecito senza timore di sbagliare.
La coscienza dubbia è quella che sospende il giudizio circa l’onestà o la disonestà dell’azione.
La coscienza probabile è quella che, appoggiata da qualche solido motivo, giudica che qualche cosa è lecita o illecita, ma con timore della parte opposta.

3) I principi
1. La coscienza antecedente è l’unica regola prossima delle nostre azioni; è quella sola che influisce sulla moralità soggettiva dell’atto umano e da questa sola si deve desumere la bontà o malizia dell’azione.
2. La coscienza conseguente in nessun modo può influire sulla moralità dell’atto umano, perché l’uo- mo per l’azione già posta, contrasse quella moralità che conosceva mentre agiva, e in nessun modo si
può desumere la bontà o la malizia dell’azione dalla coscienza conseguente.
3. L’uomo è tenuto a procurarsi una coscienza vera o retta, che è quella illuminata dagli insegnamenti di Cristo e della Chiesa, perché la coscienza vera o retta è la norma prossima della moralità nell’azione e deve essere sempre seguita.
4. La coscienza invincibilmente falsa o erronea deve essere seguita, perché viene equiparata alla co-scienza vera o retta, ma ciascuno ha l’obbligo con lo studio e con l’indagine a formarsi una coscienza vera o retta.
5. Lo scrupoloso deve prestare somma e cieca obbedienza al confessore e procedere in tutto con grande umiltà e fiducia, come un ammalato. Deve evitare di consultare spesso e diversi confessori, ma rivolgersi sempre allo stesso.
6. Chi si trova con la coscienza perplessa deve, se può, sospendere l’azione per fare delle indagini e formarsi una coscienza vera o retta; se non può, allora deve scegliere quello che gli sembra il male minore e procedendo così non pecca.
7. Chi con coscienza lassa trasgredisce qualche legge in cosa grave, giudicandola leggera a causa del suo lassismo, commetterà facilmente peccato mortale, e chi si è formato una coscienza lassa è tenuto a lasciarla per evitare il pericolo abituale di peccare gravemente.
8. La coscienza certa deve essere seguita sia che comandi sia che proibisca qualche cosa.
9. Non è mai lecito agire con la coscienza dubbia: è necessario prima fare delle indagini per deporre il dubbio e formarsi la coscienza certa; e quando questo non è possibile, si deve tramandare l’azione.
10. Nella coscienza probabile ciascuno può seguire il sistema di probabilismo che più gli piace, purché dalla Chiesa permesso alla libera discussione.

La Sacra Scrittura
«I Pagani dimostrano che i dettami della legge sono scritti nei loro cuori, come ne fa fede la loro coscienza con i suoi giudizi, la quale, volta per volta, li accusa o li difende» (Rm. 2,15).
«Sebbene io non mi senta colpevole di nulla, non per questo sono già riconosciuto giusto. Chi mi giu-dica è il Signore» (1 Cor. 4,4).
«La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra buona coscienza, perché noi ci siamo diportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la santità e la sincerità di Dio, non con la saggezza della carne, ma con la grazia di Dio» (2 Cor. 1,12).
«Conservando la fede e una buona coscienza: per averla ripudiata, alcuni hanno fatto naufragio nella fede» (1 Tm. 1,19).
«Carissimi, se la coscienza nostra non ci rimprovera, possiamo star sicuri davanti a Dio» (1 Gv. 3,21).
«Tribolazione e angoscia nell’anima di ogni uomo che fa il male…; gloria, onore e pace per chiunque fa il bene» (Rm. 2,9-10).
«Colui che è dubbioso, se mangia, è condannato, perché non agisce con convinzione: tutto quello che non deriva da ferma convinzione è peccato» (Rm.14,23).

LA COMUNIONE DEI SANTI 0

LA COMUNIONE DEI SANTI

di Padre Angel Peňa

La comunione dei santi è una verità così sublime e bella che, per quanto ci riflettiamo, non lo faremo mai a sufficienza. È una fonte immensa di Grazia e di benedizioni del Signore. Tutti i fratelli che un giorno vissero sulla terra e che oggi si trovano già beati a godere della piena felicità di Dio in cielo, continuano ad essere nostri fratelli, ci amano di amore ineguagliabile e si preoccupano della nostra felicità e della nostra salvezza.
Molte benedizioni ci sono concesse da Dio per intercessione dei nostri fratelli santi, che possono anche venire da noi, come Mosè ed Elia si accostarono a Gesù nel giorno della Trasfigurazione.
Vi è un’unione molto stretta fra la Chiesa militante, purgante e trionfante, cioè tra noi che viviamo sulla terra, i fratelli del Purgatorio e gli angeli e i santi del cielo. Tutti siamo uniti dal medesimo amore di Dio e, in Cristo, formiamo un solo Corpo Mistico. Come cattolici: “Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo, tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere”.
In Ebrei 12,1, si parla di un nugolo di testimoni che sta intorno a noi, alludendo ai santi che si prendono cura di noi. Il testo più importante è quello di 2 Maccabei 15, 11, dove si dice che Giuda Maccabeo vede nel cielo Geremia profeta e Onia, che era stato sommo sacerdote che intercedevano per gli ebrei. In Tobia 12,12, l’angelo Raffaele dice a Tobia: “Io presentavo l’attestato della vostra preghiera davanti alla Gloria del Signore”. In Giobbe 33,23, si parla di un angelo mediatore davanti a Dio. E in moltissimi passi della Scrittura vediamo angeli che vengono sulla terra a portare messaggi o ad aiutare gli uomini. In Esodo 23, 20, si afferma: “Ecco io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato”. In Esodo 32, 13, Mosè, nella sua preghiera, si rivolge a Dio chiedendogli che si ricordi di Abramo, Isacco e Giacobbe per ottener più facilmente quello che chiede.
Non possiamo tralasciare di citare l’Apocalisse 5, 8, dove si parla dei 24 anziani che hanno coppe d’oro pieni di profumi, che sono le preghiere dei santi. La stessa cosa viene detta in Apocalisse, 8, 3, e cioè di un angelo che aveva molti profumi da offrire sull’altare d’oro collocato davanti al trono di Dio, con le preghiere dei santi.
Di conseguenza gli angeli offrono le orazioni degli uomini buoni della terra e non possono fare a meno di sostenerle con le loro intercessioni.
In realtà, l’invocazione ai santi non può andar contro la mediazione di Cristo che, secondo 1 Timoteo 2, 5, è l’unico mediatore fra Dio e gli uomini. Cristo è unico mediatore, centrale, l’unico veramente necessario, ma questo non toglie nulla agli altri mediatori secondari che presentano la loro intercessione a Cristo affinché Lui la presenti al Padre. Fra questi mediatori abbiamo, in primo luogo, la nostra Madre, la Vergine Maria. Lei pose la sua intercessione davanti a suo Figlio alle nozze di Cana e ottenne il miracolo. Lei continua ad ottenere un’infinità di miracoli da Gesù per noi, come è comprovato quasi ogni giorno nei grandi santuari del mondo come Fatima, Lourdes, Gaudalupe…e lo stesso possiamo dire dell’intercessione dei santi che sempre hanno ottenuto e continuano ad ottenere da Dio miracoli per i loro devoti. La Stessa Chiesa lo conferma, quando esige due miracoli per la loro beatificazione e canonizzazione. Sulle stesse iscrizioni dei sepolcri dei martiri, fin dal primo secolo del Cristianesimo, appaiono invocazioni ai martiri affinché intercedano per noi. Nel Martirio di S. Policarpo (anno 156) si legge: “Adoriamo Cristo perché è Figlio di Dio e amiamo e invochiamo i martiri come discepoli e imitatori del Signore”.
D’altra parte, tante apparizioni della Vergine (Fatima, Lourdes, etc. ) e dei santi ci indicano che il cielo non é un luogo di riposo assoluto, ma un luogo di amore e felicità, dove non si può fare a meno di amare anche i fratelli della terra che hanno bisogno di tanto aiuto.
È interessante la testimonianza della grande santa Teresina del Bambin Gesù che, prima di morire, con visione profetica diceva: “Voglio passare il mio paradiso facendo del bene sulla terra. Spargerò sul mondo una pioggia di rose”. Su questa comunione di santi o comunione d’amore che esiste fra i santi e gli angeli del cielo, le anime del purgatorio e le persone buone della terra c’è un’infinità di testimonianze di santi che hanno avuto esperienze mistiche e rivelazioni a riguardo: santa Teresa di Gesù, santa Margherita Maria de Alacoque, santa Gemma Galgani, santa Caterina da Siena, santa Caterina da Genova, san Giovanni Bosco, san Giovanni della Croce, santa Rosa da Lima…
Se i nostri fratelli defunti ci amavano sulla terra, non ci ameranno forse adesso dal cielo? Non cercheranno di aiutarci se lo avrebbero fatto restando sulla terra? Se gli angeli scendono sulla terra per aiutare gli uomini, non possono scendere anche i santi? Perché allora alla morte di Gesù, secondo Matteo 27, 52, molti corpi di santi defunti risuscitarono e apparvero a molti? E perché nella trasfigurazione appaiono Elia e Mosè?
Non dimentichiamoci degli angeli. San Michele, principe degli eserciti angelici, significa: Chi è come Dio? Gabriele, Fortezza di Dio, messaggero celeste nell’Annuncio a Maria; Raffaele, Medicina di Dio, che guarì Tobia dalla sua cecità. Invochiamo anche i nostri angeli custodi ogni giorno con la preghiera: Angelo mio custode, dolce compagnia, non mi abbandonare né di notte né nel dì.
Viviamo questo dogma meraviglioso della comunione dei santi. Tutti noi formiamo un solo Corpo in Cristo. Il Padre celeste costituì Cristo Capo Supremo della Chiesa. il piano di Dio è “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”. Pertanto, persino le cose materiale formano una unità in Cristo, perché “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. Anche quelli che sono morti in grazia di Dio, siano essi ancora in Purgatorio o in Paradiso, sono uniti in Cristo, perché “Cristo è tutto in tutti”. “Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”, affinché “ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. Lui è anche il capo degli angeli.
Per questa ragione, se tutti gli esseri dell’universo, sia gli angeli, sia gli uomini, sia le cose materiali hanno Cristo per capo e tutti siamo uniti in Cristo, è esagerato dire che tutti ci amiamo in Cristo? E se ci amiamo, non possiamo aiutarci gli uni gli altri? E perché allora, parlando dell’unione che formiamo tutti nel corpo di Cristo, ci viene detto che Dio vuole che “non vi sia disunione nel corpo, ma anzi le varie membra abbaino cure le une delle altre”.

Per concludere, siamo tutti fratelli in Cristo, color che sono in cielo e quelli sulla terra; tutti ci amiamo in Cristo e dobbiamo preoccuparci gli uni degli altri, aiutandoci vicendevolmente. L’invocazione ai santi del cielo per chiedere loto grazie, la preghiera per le anime del Purgatorio per aiutarle nelle loro sofferenze, così come la preghiera per tutti coloro che sono pellegrini su questa terra, non solo è possibile, ma anzi utile e voluta da Dio in virtù della Comunione dei Santi, per fare parte tutti del Corpo di Cristo. Per la precisione, fin dagli inizi del quinto secolo appare già nelle formule del Credo: credo nella Chiesa cattolica e nella Comunione dei Santi

IO SONO LA SANTISSIMA TRINITÀ 0

IO SONO LA SANTISSIMA TRINITÀ

Ma ora alziamo il nostro sguardo verso Dio e chiediamogli di dirci qualcosa di più di Se stesso, di spiegarci com’è fatto e qual è il segreto della Sua perfezione…
E Dio – che è buonissimo con le sue creature – si è degnato di risponderci, e ci ha detto:
“Io sono LA SANTISSIMA TRINITÀ”.

E ci ha spiegato: “Pur essendo Uno solo, io vivo in tre Persone, una uguale all’altra, che si amano di amore eterno ed infinito e che formano come una sola famiglia, anzi un solo Essere, l’Essere divino”.
E soggiunge: “Questa è la perfezione infinita, questo è Dio: la Santissima Trinità!”.
*13 (13) – Dio è uno solo?

Dio è uno solo, ma in tre persone uguali e distinte, che sono la santissima Trinità.
Poi Dio ha voluto metterci a parte del Suo più geloso segreto, e ci ha rivelato il Suo Nome:

“PADRE, FIGLIO, SPIRITO SANTO”
Caro amico, non meravigliarti se il Nome di Dio è fatto di tre parole, perché, come sai, Dio è una famiglia di tre Persone (la Santissima Trinità) che vive d’amore e, amandosi, è infinitamente felice:
Il Padre guarda sempre il suo unico Figlio nel quale ha posto ogni sua gioia; e il loro Spirito d’amore li unisce tra loro in una felicità senza principio e senza fine.
*14 (14) – Come si chiamano le tre Persone della Santissima Trinità?

Le tre Persone della Santissima Trinità si chiamano Padre, Figlio e Spirito Santo.
Perciò quando vuoi parlare con Dio, cioè quando vuoi pregare, tu puoi rivolgerti personalmente al Padre o al Figlio o allo Spirito Santo, perché OGNUNO DI ESSI È DIO, e parlando con ognuna delle tre Persone divine, tu parli con tutto Dio!
Tuttavia le tre Persone divine (simboleggiate nel disegno dai tre cerchi) non sono tre dei, ma UN DIO SOLO, cioè una sola Natura divina (simboleggiata dal grande triangolo).
*15 (15) – Ogni Persona della Santissima Trinità è Dio?
Sì, ogni Persona della Santissima Trinità è Dio.
*16 (16) – Se ogni Persona divina è Dio, le tre Persone divine sono dunque tre Dei?
Le tre Persone divine non sono tre Dei, ma un Dio solo, perché hanno la stessa unica natura o sostanza divina.
Se con il nostro occhio fissiamo direttamente la luce del sole, ne restiamo accecati e non vediamo più nulla.
Ciò avviene non perché il sole abbia perso improvvisamente la propria luminosità ma, al contrario, perché è “troppo luminoso” per la nostra debole vista.
Allo stesso modo, se con la nostra ragione umana volessimo fissare e conoscere il mistero della Santissima Trinità, ne rimarremmo accecati, senza comprendere nulla.
Ciò avviene non perché IL MISTERO della Santissima Trinità (tre Persone realmente distinte che sono un Dio solo) sia “poco vero”, ma – al contrario – perché è “troppo vero” e perciò incomprensibile per la nostra debole ragione!
*17 (17) – Comprendiamo noi come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo?
Noi non comprendiamo né possiamo comprendere come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo: è un mistero.
Non solo il Mistero della Santissima Trinità, ma OGNI VERITÀ DIVINA È MISTERO per la nostra ragione, perché Dio è infinitamente superiore ad ogni creatura.
Tuttavia i Misteri divini non sono contrari alla nostra ragione, perché anch’essa è uscita dalle mani di Dio ed è fatta per conoscere la Verità. Se non arriva a comprenderla è perché è troppo debole, e non perché la Verità sia meno vera.
Perciò, su questa terra, noi possiamo conoscere veramente Dio solo con la Fede, cioè credendo nella Sua parola. In Paradiso poi Lo comprenderemo pienamente, perché “Lo vedremo faccia a faccia”.
*18 (18) – Che cos’è un mistero?
Mistero è una verità superiore ma non contraria alla ragione, che crediamo perché Dio l’ha rivelata.

IL SENSO CRISTIANO DEL DOLORE 0

IL SENSO CRISTIANO DEL DOLORE

Le prove e le sofferenze di Giobbe
Nella terra di Uz – leggiamo nella Sacra Scrittura – viveva un uomo timorato di Dio, chiamato Giobbe, che aveva ricevuto innumerevoli benedizioni dal Signore: possedeva molte greggi, bestiame e raccolti, e gli era stata concessa una numerosa discendenza. Secondo una credenza diffusa in quei tempi esisteva una relazione tra vita virtuosa e vita ricca e prospera. La situazione di benessere materiale era considerata un premio che Dio concedeva alla virtù e alla fedeltà. In un immaginario dialogo tra Dio, che si mostra contento dell’amore del suo servo, e Satana, costui insinua che la virtù di Giobbe fosse interessata, e che nella disgrazia sarebbe venuta meno. «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto gli appartiene? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia !».
Con l’autorizzazione di Dio Giobbe fu spogliato di tutti i suoi beni, ma la sua virtù mostrò di avere profonde radici: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore! », esclama dopo aver perso tutto. La sua adesione alla volontà divina fu assoluta, sia nell’abbondanza che nell’indigenza. La miseria di Giobbe si trasformò in un’enorme ricchezza spirituale.
Una seconda e più violenta prova non fiaccò la sua fede e fiducia in Dio. Il suo corpo fu ulcerato dalla pianta dei piedi alla testa. Perdere la salute era un male peggiore della perdita dei beni materiali. La fede di Giobbe, tuttavia, si mantenne ferma, nonostante la malattia e i rimbrotti aspri di sua moglie: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?», rispondeva Giobbe.
Oggi abbiamo l’occasione di esaminare il nostro atteggiamento davanti al Signore quando siamo colpiti, noi o i nostri cari, dalla disgrazia e dal dolore. Dio è sempre Padre. Anche quando siamo visitati dall’afflizione e dai dispiaceri. Nell’abbondanza e nella miseria, nella salute e nella malattia ci comportiamo da figli riconoscenti?
La sofferenza dei giusti
Tre amici, appartenenti a tribù e luoghi differenti, venuti a conoscenza della situazione di Giobbe decisero di andare insieme a visitarlo per fargli compagnia e coraggio. Quando i tre, Elifaz, Bildad e Zofar, giunsero e videro Giobbe in uno stato pietoso, tutta la loro compassione scomparve, convinti che si trovavano in presenza di un uomo maledetto da Dio. Anch’essi ritenevano che la prosperità sia il premio che Dio dà alla virtù, e che le tribolazioni significhino il castigo per la malvagità. Il comportamento degli amici, il perdurare delle sofferenze, la solitudine in mezzo a tanto dolore, furono troppo per Giobbe, che ruppe il suo silenzio con un lamento amaro.
Gli amici, convinti che Giobbe abbia in qualche modo peccato, e ignorando l’esistenza del premio e del castigo dopo questa vita, si rivolgono a lui con durezza, perché non trovano altra spiegazione alle disgrazie di Giobbe. Questi, convinto della propria innocenza, non fa fatica ad ammettere piccole trasgressioni, comuni nell’uomo, e non tali da giustificare un così tremendo castigo. Ricorda anche il molto bene che aveva compiuto. E nella sua anima sorge un conflitto.
Egli sa che Dio è giusto, eppure tutto nei suoi confronti sembra parlare di ingiustizia. Anch’egli crede che il Signore tratti l’uomo secondo i suoi meriti e demeriti. Ma come conciliare la giustizia divina con la sua amara esperienza? Gli amici hanno una risposta, ma egli, in coscienza, la ritiene falsa. Le due convinzioni, apparentemente contraddittorie, la giustizia divina e la propria innocenza, procurano a Giobbe un’angustia e una lacerazione interiore più penose della malattia fisica e della rovina materiale. È il turbamento che senza la fede induce la sofferenza di un innocente: bambini che muoiono all’improvviso, o contraggono malattie che li rendono incapaci di una vita normale, persone che sono state generose e hanno servito fedelmente Dio e si ritrovano in rovina, senza lavoro, o con una malattia dolorosa, mentre a tutti quelli che sono vissuti ignorando Dio pare che la vita sorrida.
Il libro di Giobbe «pone con tutta franchezza il problema della sofferenza dell’uomo innocente: la sofferenza senza colpa. Giobbe non è stato punito, non vi erano le basi per infliggergli una pena, anche se è stato sottoposto ad una durissima prova». Dalla prova, Giobbe uscirà fortificato nella virtù, che non dipendeva da una situazione agiata e senza problemi, e neppure da grandi benefici che aveva ricevuto da Dio. Pur tuttavia, «il Libro di Giobbe non è l’ultima parola della Rivelazione su questo tema. In un certo modo esso è un annuncio della passione di Cristo», l’unica realtà che può illuminare il mistero della sofferenza umana, in modo particolare il dolore dell’innocente.
«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Il dolore cambia radicalmente di segno con la Passione di Cristo. «È come se Giobbe l’avesse presentita, quando diceva: “Io so infatti che il mio Redentore vive…” (Gb 19, 25), e come se avesse indirizzato verso di essa la propria sofferenza, la quale senza la redenzione non avrebbe potuto rivelargli la pienezza del suo significato. Nella Croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta. Cristo – senza nessuna colpa propria – si è addossato “il male totale del peccato” ». Le sofferenze di Gesù furono il prezzo della nostra salvezza. Da allora, il nostro dolore unito a quello di Cristo può essere reso partecipe della Redenzione dell’umanità intera. «Questa è stata la grande rivoluzione cristiana: trasformare il dolore in una sofferenza feconda; fare, di un male, un bene. Abbiamo spogliato il diavolo di quest’arma…; e, con essa, conquistiamo l’eternità».
Il dolore e la Passione di Cristo
Il dolore, quando ci sfiora, non ci lascia mai come prima. Purifica l’anima, la eleva, aumenta il grado di unione con la volontà divina, ci aiuta a distaccarci dai beni, dall’attaccamento eccessivo alla salute, ci fa corredentori con Cristo; oppure, al contrario, ci allontana da Signore e rende l’anima tarda a cogliere il soprannaturale e intristita. Quando Simone di Cirene fu sollecitato ad aiutare Gesù a portare la croce, dapprima accettò controvoglia. Lo «costrinsero», scrive l’evangelista. In un primo momento vedeva solo la croce, e la croce non era che un legno gravoso e molesto. Poi non si preoccupò più del legno ma del condannato, quell’uomo del tutto unico che stava per essere giustiziato. Allora tutto cambiò: aiutò Gesù con amore e meritò il premio della fede per sé e per i suoi due figli, Alessandro e Rufo. Anche noi, in mezzo alle prove e alle tribolazioni, dobbiamo guardare a Cristo. Ci preoccuperemo meno della croce e faremo posto all’amore. Troveremo che «portare la croce» ha senso quando la portiamo accanto al Maestro. «Il suo desiderio più ardente è di accettare nei nostri cuori la fiamma di amore e sacrificio che avvolge il suo, e per quanto poco corrispondiamo a questo desiderio, il nostro cuore si trasformerà subito in un fuoco di amore che consumerà a poco a poco le scorie accumulate per le nostre colpe e ci farà diventare vittime di espiazione, felici di ottenere, al prezzo della sofferenza, una purezza maggiore, una più stretta unione con l’Amato; felice anche di completare la Passione del Salvatore per il bene della Chiesa e delle anime (Col 1, 24) […]. È lì, ai piedi del Crocifisso, che comprenderemo che in questo mondo non è possibile amare senza sacrificio, ma che il sacrificio è dolce per chi ama.
Nel terminare l’orazione contempliamo la Madonna sul Calvario, che partecipa in modo singolare alle sofferenze di suo Figlio. «Ammira la fortezza della Madonna: ai piedi della Croce, con il più grande dei dolori umani -non c’è dolore come il suo dolore- piena di fortezza. – Chiedile questo vigore, per sapere stare anche tu presso la Croce». Accanto a Lei capiremo che chi ama è contento di sacrificarsi, e offriremo attraverso il suo cuore dolcissimo i fallimenti, le incomprensioni, le situazioni difficili della famiglia o nel lavoro, la malattia e il dolore. «Una volta fatta l’offerta, cerchiamo di non pensarci più, ma di compiere quanto Dio vuole da noi, là dove siamo: in famiglia, in fabbrica, in ufficio, a scuola… soprattutto cerchiamo di amare gli altri, i prossimi che ci stanno attorno.
Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. Potremo trovare in noi una forza nuova. Questo ci dirà come, abbracciando le croci di ogni giorno e unendoci per esse a Gesù crocifisso e abbandonato, possiamo partecipare già da quaggiù alla sua vita di Risorto.
Ricchi di questa esperienza, potremo aiutare efficacemente tutti i fratelli nostri a trovar beatitudine tra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti, di felicità, di quella felicità a cui ambisce ogni cuore umano».

IL MAGISTERO DELLA CHIESA 0

IL MAGISTERO DELLA CHIESA

di S. Ecc.za Rev.ma Antonio Santucci – Vescovo emerito di Trivento

Dio “vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità”, vale a dire di Gesù Cristo, l’unico Salvatore del mondo.
L’Eterno Padre si è degnato di rivelare questo mirabile mistero a Santa Caterina da Siena. “Io voglio che tu guardi il ponte che per voi ho costruito nell’Unigenito mio Figliolo; e vedi la grandezza sua che va dal cielo alla terra, giacché in Lui la grandezza della Divinità è unita alla terra della vostra umanità…Questo fu necessario per rifare la via che era rotta, affinché attraverso l’amarezza di questo mondo, possiate pervenire alla vita eterna” (Dial. 22,50-1).
Gesù e l’unico ed universale Salvatore, è il Signore, il Verbo di Dio che si è fatto Carne. Ringraziamo la Congregazione della Fede che ha riproposto questa verità fondamentale del Cristianesimo con la dichiarazione “Dominus Jesus” del 6 Agosto 2000. Nel rispetto di tutte le confessioni, non possiamo confondere il Figlio di Dio fatto Uomo, con i fondatori delle altre religioni. Certo anche questi uomini hanno cercato di spingere gli uomini al bene, ma la salvezza viene solo da Gesù Cristo: per noi cristiani nella luminosità della Rivelazione; per gli altri, per vie che solo Dio conosce.
La responsabilità di noi cristiani sta nel fatto che non siamo sempre coerenti con la nostra Fede, non diamo testimonianza chiara dell’Amore misericordioso che Dio ha rivelato in Gesù Cristo. Il liberatore dell’India, il mahatma Gandhi, ha lasciato scritto: “Il messaggio di Gesù è il più sublime che si possa immaginare. La condotta dei cristiani, invece, è la contraddizione di questo messaggio”. Il vero ecumenismo non si ottiene degradando la posizione di Gesù a quella di uomini anche illustri, ma vivendo il Vangelo dell’amore che è accettare l’altro come è, e donare la propria vita perché la pienezza della luce vera che illumina ogni uomo, giunga a tutti in modo che possa essere conosciuta e accettata in piena libertà.
Gesù, nel discorso di addio, durante l’ultima cena, mentre prega per i suoi Apostoli, così si rivolge al Padre: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li mando nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché anch’essi siano consacrati nella verità” (Gv 17,17-19).Nel giorno della resurrezione, apparendo agli Apostoli, chiusi nel cenacolo, disse loro: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21).E prima di salire al cielo, Gesù si congeda dai suoi Apostoli con queste parole: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20).In queste parole ed in questa promessa si trova condensata la missione della Chiesa Apostolica. Il Cristo glorificato esercita sulla terra come in cielo il potere senza limiti che ha ricevuto dal Padre. I suoi Apostoli eserciteranno “dunque” questo stesso suo potere formando dei discepoli nella Fede e battezzandoli. L’evangelista Marco aggiunge: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16).
Queste parole del Signore hanno un valore eterno: questa è dottrina certa. Lo ha ribadito con la suprema autorevolezza il Concilio Ecumenico Vaticano II: “Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i vescovi, affidando ad essi il loro proprio compito di magistero” (Dei Verbum, 7).Infatti “la predicazione apostolica che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua, fino alla fine dei tempi” (ivi 8).
Questa trasmissione viva dei fatti e degli insegnamenti del Signore Gesù, compiuta con l’assistenza dello Spirito Santo è la Tradizione. Gesù stesso ha promesso l’assistenza dello Spirito Santo: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14,16-17); ed ancora: “Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
In forza della Tradizione, distinta dalla Sacra Scrittura, ma ad essa strettamente legata, la Chiesa, con il suo Magistero, con la sua vita e la sua liturgia, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede (cfr. Dei Verbum, 8).
Cosa ben distinta sono le tradizioni popolari. Rientrano in queste, varie forme di pietà popolare che non sono in contrasto con l’insegnamento della Chiesa e quindi possono essere praticate. Debbono però esserecontinuamente vivificate dalla Parola di Dio con opportune catechesi.
Alcune sono vere e proprie degenerazioni: quando ero parroco ho dovuto affrontare una dura battaglia per rettificare ciò che succedeva all’inizio della solenne e sacrosanta Veglia Pasquale. Il rito del fuoco non era più la benedizione della fiamma che dirada le tenebre della notte e da cui riceve luce il Cero (simbolo di Cristo Risorto che poi, attraverso le meravigliose letture del Vecchio e del Nuovo Testamento, continua ad illuminarci con la sua Parola, e che ci comunica la vita nuova nel Battesimo e ci trasfigura nell’immagine del Figlio Crocifisso e Risorto, attualizzando, con la divina Eucaristia, il mistero pasquale), ma era diventato solo il falò di ragazzotti che volevano soltanto divertirsi attorno al fuoco, come in un campeggio.

Rientrano in questo tipo di tradizioni certe forme di culto magico e talvolta paganeggiante, determinati immobilismi in contrasto con la santa Liturgia: queste cose vanno rimosse. Infatti, non aiutano a convertirsi, a conformare la vita al Vangelo, imitando l’esempio dei Santi che si crede di onorare. Scribi e farisei chiesero a Gesù: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?”. Ed egli rispose loro: “Perché voi trasgredite il Comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? Così avete annullato la Parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi il profeta Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”». (cfr. Mt 15, 1-9).
Ubbidiamo al Signore Gesù che, riferendosi agli Apostoli, ha detto: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc. 10,16).Siamo docili al Magistero autentico dei Vescovi uniti al Papa e saremo certi di stare sulla retta strada.