Categoria: GESU’ CRISTO

SENZA RISPETTO UMANO 0

SENZA RISPETTO UMANO

• L’agire chiaro di Gesù
Era costume tra gli ebrei di invitare a pranzo chi aveva parlato nella sinagoga in quel giorno; un sabato Gesù fu dunque invitato a casa di uno dei capi dei farisei della città. E lo spiavano, lo sorvegliavano per vedere dove potevano coglierlo in fallo. Nonostante la situazione fosse poco gradevole, il Signore -commenta san Cirillo- accettava gli inviti per essere utile agli altri convitati con le sue parole e i miracoli. Il Maestro non si lascia sfuggire nessuna circostanza per redimere le anime, e i banchetti erano un’occasione propizia per parlare del regno dei cieli.
Quel giorno, mentre ormai erano seduti a mensa, «davanti a Lui stava un idropico»; l’uomo probabilmente approfitta di un’usanza per la quale a tutti era permesso di entrare nella casa dove si dava un ricevimento. Il malato non dice niente non chiede niente, semplicemente «stava» davanti al Medico divino. «Questo potrebbe essere il nostro comportamento, il nostro atteggiamento interiore: metterci davanti a Gesù. Stare così, con la nostra idropisia, con la nostra miseria personale con i nostri peccati… davanti a Dio, davanti allo sguardo compassionevole di Dio. Possiamo avere l’assoluta certezza che Egli ci prenderà per mano e ci guarirà».
Gesù, vedendo davanti a sé il malato, si colma di misericordia, e lo risana, nonostante lo controllassero per vedere, se guariva di sabato. Agisce con chiarezza e non si lascia condizionare dal rispetto umano, per cui quelli che si ritenevano maestri e interpreti della legge mormorarono. Poi, il Signore dimostra che la misericordia non viola il sabato, proponendo loro un esempio pieno di buon senso: «“Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?” E non potevano rispondere nulla a queste parole», perché tutti si sarebbero affrettati a salvarlo.
Il nostro modo di vivere la fede cristiana in un ambiente in cui ci siano sospetti, falsi scandali o semplici incomprensioni per ignoranza, senza malafede, deve essere come quello di Gesù. Mai dobbiamo essere opportunisti; il nostro atteggiamento deve essere chiaro, coerente con la fede che professiamo. Molto spesso un comportamento deciso, senza reticenze e paure, avrà una grande efficacia apostolica. Al contrario, «fa spavento il danno che possiamo causare se ci lasciamo trascinare dalla paura o dalla vergogna di mostrarci cristiani nella vita ordinaria». Noi omettiamo di manifestare la nostra condizione di cristiani, con semplicità e naturalezza, quando le circostanze lo richiedano. Non ci pentiremo mai di aver tenuto un comportamento coerente con il nostro più intimo essere, e il Signore, guardandoci, si riempirà di gioia.
• II rispetto umano non è proprio di un cristiano dalla fede ferma
Tutta la vita di Gesù manifesta unità e fermezza. Non lo si vede mai vacillare. «Nel suo stesso modo d’esprimersi, nelle formule che sempre ritornano: “Io sono venuto…”, “Non sono venuto…” si rivela questo lucido, decisivo, rigido Est, est, non, non della sua vita […]. In tutta quanta la sua vita pubblica non si trova un istante in cui si mostri indeciso e pensieroso sul da farsi: non ritira mai una parola né retrocede quando ha iniziato un’azione». Egli chiede a chi lo segue la stessa volontà ferma in qualsiasi situazione. Rimanere vittime del rispetto umano è proprio di persone dalla formazione superficiale, senza criteri chiari, senza convinzioni profonde, o di carattere debole.
II rispetto umano dipende dal fatto che si tiene in maggior conto l’opinione degli altri che il giudizio di Dio, e si trascurano le parole di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole […] anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Il rispetto umano può nascondere la comodità di non voler passare un brutto quarto d’ora, perché è più facile seguire la corrente; o il timore di mettere in pericolo una carica pubblica, per esempio; o il desiderio di non essere diverso dagli altri, di rimanere anonimi. Chi segue il Signore non deve dimenticare che deve essere come gli altri buoni cristiani e che ha assunto un intimo impegno con Cristo e con la sua dottrina. «Risplenda la virtù nella vostra vita e voi non curatevi dei calunniatori», consigliava san Giovanni Crisostomo; e aggiungeva: «È infatti impossibile che un uomo virtuoso non abbia molti nemici; ma niente può nuocere a chi è onesto; attraverso i contrasti egli diventerà ancora più illustre. Queste considerazioni, fratelli, debbono indurci a porre tutta la nostra cura in una sola cosa fondamentale, cioè nel ben regolare tutta la nostra vita. In questo modo noi potremo condurre, quasi per mano alla vita del cielo coloro che sono seduti nell’ombra della morte», e rappresenteremo un appoggio sicuro per tanti che vacillano. Una vita coerente con le proprie convinzioni attrae profondamente molti e merita il rispetto di tutti: spesso e il cammino di cui Dio si serve per attrarre altri alla fede. Il buon esempio lascia sempre cadere un buon seme che, prima o poi, darà il suo frutto. «Infatti le emulazioni delle virtù che si vedono nelle altre», avverte santa Teresa, «è un argomento di facilissima persuasione. Questo è un buon consiglio, e vi prego di non mai dimenticarlo».
È chiaro che chiunque tende a evitare scelte che gli attirerebbero un certo disprezzo o la derisione degli amici, colleghi, colleghe…, o semplicemente la scomodità di andare controcorrente. E però altrettanto chiaro che l’amore a Cristo, al quale dobbiamo tanto, ci aiuta a superare questa istintiva inclinazione, per recuperare la «libertà dei figli di Dio» che ci consente di muoverci con disinvoltura e semplicità, come buoni cristiani, negli ambienti più avversi.
• L’esempio dei primi cristiani
I cristiani della prima ora agirono con la capacità propria di chi ha edificato la vita su un fondamento saldo. Giuseppe Nicodemo che nell’ora dei miracoli erano stati i discepoli meno conosciuti di Gesù, non esitarono a presentarsi davanti al Procuratore romano e a prendere in consegna il Corpo morto del Signore: «hanno il coraggio di dichiarare davanti all’autorità il loro amore a Cristo -audacter-, con audacia, nell’ora della codardìa». In modo simile si comportarono gli apostoli davanti alla violenza del Sinedrio, e alle successive persecuzioni, ben convinti che «la parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio».
Non dimentichiamo che per molti sarà stoltezza rispettare i vincoli della fedeltà matrimoniale, rifiutare affari poco onesti, anche se lucrosi; sarà stoltezza la generosità nel numero dei figli, che comporterà alcune privazioni; e il digiuno, l’astinenza, la mortificazione corporale (che tanto aiuta l’anima a capirsi con Dio). San Paolo afferma che mai si è vergognato del Vangelo, e con toni vibranti e accorati consiglia così Timoteo: «Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, ne di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio».
Quando il Signore si incontra con l’uomo malato in casa del fariseo di cui era ospite, si fa premura di guarirlo, nonostante fosse sabato e prevedesse le critiche che il miracolo avrebbe suscitato. Considerato quanto l’ambiente fosse ostile, sarebbe stato comodo attendere un’altra occasione, un giorno diverso della settimana. E invece, oggi, Gesù ci insegna a compiere ciò che dobbiamo fare, indipendentemente da «quel che diranno», dai commenti ostili che magari le nostre parole o il nostro agire possono provocare. Una cosa ci deve importare prima di tutto: il giudizio di Dio in quella situazione. L’opinione degli altri è molto secondaria. Se a volte dobbiamo stare zitti o non fare qualcosa, ciò dev’essere per prudenza vera, e non per codardia e per il timore di affrontare l’ostilità. È il minimo che possiamo soffrire per Colui che per noi patì la morte, e morte di croce.
Se la nostra vita è coerente con i princìpi cristiani ne verrà un gran bene agli altri, e il Signore sarà contento di vederci veri discepoli suoi, che non si nascondono ne si vergognano di esserlo. Chiediamo alla Madonna la fermezza che Ella ebbe ai piedi della croce, accanto a suo Figlio, in circostanze tanto difficili e

LE PROVE DELLA DIVINITÀ DI GESÙ: I MIRACOLI 0

LE PROVE DELLA DIVINITÀ DI GESÙ: I MIRACOLI

1. Attendibilità dei miracoli di Gesù
Che i miracoli dei Vangeli siano aggiunte postume, come vogliono certi critici moderni, è:
a) un’affermazione non solo gratuita, ma contro la verità storica, perché essi sono contenuti in tutti
i codici antichi dei Vangeli ed anche nei papiri;
b) un’affermazione contro la logica. Senza i miracoli non si spiegherebbe:
– né come tutti i malati cercavano Gesù;
– né come le folle lo seguivano;
– né come i discepoli avevano abbandonato il lavoro e le famiglie per seguirlo;
– né come migliaia di Ebrei lo credettero Dio e si fecero uccidere per lui, insieme con centinaia
di migliaia di pagani.
Giustamente è stato osservato che, se i popoli si fossero convertiti a Gesù senza i miracoli, questo sarebbe stato un miracolo cento volte superiore.

2. I miracoli di Gesù: fatti storici
I miracoli di Gesù sono così intimamente intrecciati con tutti gli altri avvenimenti della sua vita, con le sue parole, con la sua stessa sorte personale che non si possono “togliere” dal Vangelo senza distruggere e rendere incomprensibile il Vangelo stesso [Gesù sarà ricercato dai capi del Sinedrio e dai suoi avversari proprio a causa dei miracoli che compie. Questa decisione maturò in modo drammatico dopo che Gesù ebbe operato lo strepitoso miracolo della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,4 -44). Questo miracolo, evidentemente frutto di un potere proprio ed esclusivo di Dio, compiuto su un cadavere già in decomposizione sotto gli occhi di tutti gli intervenuti al funerale, determina la decisione di uccidere Gesù. “I sommi Sacerdoti e i Farisei riunirono il Sinedrio e dissero: che facciamo? Quest’uomo compie molti segni, se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui, e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione. Da quel giorno, dunque, decisero di ucciderlo” (Gv 11, 45-53)].
Che i miracoli di Gesù siano realmente avvenuti ne è prova il fatto che nessuno dei suoi avversari ha osato negarli.
Gli stessi suoi nemici lo riconoscono quando lo insultano morente sulla croce: “ha salvato gli altri, salvi se stesso dalla croce e gli crederemo!” (Mt 27,42).

3. I miracoli di Gesù: interventi divini
Abbiamo detto che i miracoli di Gesù sono fatti storici: ora dobbiamo sottolineare che essi sono anche fatti divini, nel senso che, nelle circostanze concrete in cui sono avvenuti, solo Uno che è Dio poteva produrli.
Solo per fare qualche esempio, la guarigione del cieco nato di Gerusalemme è operata da Gesù con mezzi (il fango, l’acqua) che ancora oggi nessuno, nonostante i progressi della scienza, ritiene efficaci per guarire dalla cecità (Gv cap. 9).
Lo stesso si dica per la guarigione, a distanza, dei dieci lebbrosi (e la lebbra è una malattia organica che, se curata a lungo può sì regredire ma non sparire ad un comando!) (Lc 17,11-19; o per la resurrezione del figlio della vedova di Naim, con il quale Gesù si imbatté casualmente sulla via della sepoltura e al quale ridà la vita con un semplice comando! (Lc 7,11-17).

4. miracoli di Gesù: segni profetici
I miracoli di Gesù sono segni profetici perché finalizzati a suscitare fede in Lui. Gesù non ha mai operato miracoli per fare spettacolo; anzi, si è sempre mostrato contrario ad ogni esibizione di potenza come fine a se stessa: alla richiesta dei suoi compaesani di Nazareth che volevano vedere qualche prodigio, egli non acconsente (Lc 4,23-24), e così rifiuta di esaudire le medesime richieste fattegli da Erode (Lc 23,8-12).
Gesù compie i suoi interventi divini per rivelare Se stesso come il Messia atteso, come il Figlio di Dio venuto a salvare l’umanità. Al paralitico di Cafàrnao dice: “ti sono perdonati i peccati”. I Farisei presenti si scandalizzano pensando giustamente: “solo Dio può perdonare i peccati”. Allora Gesù afferma con solennità: “perché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere di perdonare i peccati, io dico a quest’uomo: alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua!”. E così avvenne sotto gli occhi esterrefatti di amici ed avversari (Mc 2,9-14).
Qui il miracolo è evidentemente orientato a rivelare la divinità di Gesù e la venuta del regno di Dio sulla terra; ma la stessa cosa può essere detta a riguardo di tutti i miracoli di Gesù. Lui stesso affermerà – quasi a chiarire per le folle “il senso” dei suoi interventi miracolosi – “se io scaccio i demòni col dito di Dio, è dunque arrivato per voi il Regno di Dio!” (Mt 12, 68).

5. Gesù continua anche oggi ad operare miracoli

La causa e l’opera di Gesù non sono finite con la sua morte. Egli è l’unico che continua ad operare dopo morto.
Nel suo Nome i suoi discepoli, secondo la sua promessa, vanno operando i miracoli: guariscono malati di ogni specie. Il libro degli Atti degli apostoli dice: “portavano gli ammalati affinché quando passava Pietro, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro…e tutti venivano guariti”. A Troade Paolo risuscita il giovane Eutico (Atti 20, 7).
I miracoli continuano nella Chiesa Cattolica dai tempi apostolici fino ad oggi; si richiedono per la canonizzazione dei Santi. Sono noti a tutti, poi, i miracoli che avvengono a Lourdes, accertati scientificamente dal Bureau Medical.

L’AFFASCINANTE FIGURA DI CRISTO 0

L’AFFASCINANTE FIGURA DI CRISTO

Gesù ebbe coscienza ed ha proclamato di essere il Messia promesso, il Maestro e Redentore dell’umanità. Se egli non era quello che diceva di essere o si è ingannato o ha voluto ingannare.
Ma ciò è in stridente contrasto con la grandezza intellettuale e morale della sua personalità come risulta dai Vangeli. La sua personalità, quindi, è garanzia della verità di quanto ha affermato di Se stesso.

1. La figura spirituale di Gesù
Gesù ha un intimo e delicato sentimento della natura, come si può vedere dalle sue similitudini. Ma più che alla natura, la sua azione ed il suo amore sono rivolti agli uomini; ama tutti fino all’inverosimile!
Ama i bambini e questi si stringono attorno a lui (Mc 10, 13-16). Ha compassione degli ammalati e degli emarginati. Il dolore della vedova rimasta sola (Lc 7, 13), l’ansietà del cuore paterno preoccupato (Mc 5, 36), l’afflizione delle sorelle di Lazzaro morto (Gv 11, 1-44), gli toccano profondamente il cuore.
Il suo riguardo per la prudenza di Nicodemo (Gv 3, 1), il suo tatto verso il capo dei pubblicani che gli offre un banchetto (Lc 19, 1), la sua mesta cordialità verso il traditore (Mc 14, 17), rivelano altrettanti aspetti del suo molteplice ed aperto amore verso gli uomini. Soprattutto la sua condotta verso l’adultera sorpresa in flagrante (Gv 8, 1), verso Pietro pentito (Lc 22, 61) e verso la peccatrice (Lc 7, 37) – ciò che Egli le dice e ciò che non le dice – appartiene alle pagine più profumate e delicate del Vangelo.
E quale tenero, paziente, indulgente Amico e Maestro fu Gesù per i suoi Apostoli! Soprattutto i suoi rapporti con Pietro rivelano la trascendente umanità di Cristo. Il modo con cui Gesù chiama a sé l’Apostolo esitante (Mt 14, 28), ama il suo entusiasmo e loda la sua fede (Lc 5, 8), il modo con cui frena il suo zelo ardente (Gv 13, 6), umilia la sua temerarietà (Mc 8, 31), mette in guardia la sua cieca fiducia contro la sua debolezza (Mc 14, 29), consola il suo pentimento e gli fa scontare con tatto finissimo la sua caduta (Lc 22, 61), tutto ciò sgorga da una profonda conoscenza ed amore verso gli uomini, che sopporta con infinita pazienza le piccinerie e le miserie dell’umanità e, con sapienza pedagogica, ne stimola gli aspetti buoni.
Ma l’elemento più alto e più grande che caratterizza la vita di Gesù è la sua unione con Dio, la sua intima, permanente ed assoluta dedizione alla volontà del Padre. “Egli vive nella religione e questa è per lui respiro nel timore di Dio. Tutta la sua vita, il suo sentire ed il suo pensare erano assorbiti nel rapporto con Dio e tuttavia egli non ha parlato come un fanatico ed un sognatore” (Harnack).
E soprattutto la sua preghiera! Giustamente Gesù è stato chiamato “l’orante più forte della storia”. Nella solitudine dei monti Egli passa notti segrete dinanzi al Padre, tenendo con Lui colloqui amorosi; questa unione con Dio non la perde neppure nelle lotte e nelle dispute con i suoi avversari, neppure nelle tenebre del venerdì santo. Se consideriamo questa ricca vita interiore, restiamo sorpresi dall’equilibrio armonico di Gesù.
La chiarezza del suo pensiero, l’acutezza e la prontezza del suo discorso meravigliano al pari della delicatezza dei suoi sentimenti, della forza del suo amore. La sua bontà attira i bambini ed agisce sugli ammalati. La sua misericordia disarma i peccatori. Ma egli rivolge accuse contro i sentimenti ipocriti dei Farisei. E’ una immagine di grandezza umana, quale non troveremo più nella storia.
Dinanzi a questo quadro sublime, il semplice pensiero di un errore cosciente circa una missione divina inventata, costituirebbe una mostruosità psicologica. Anche la possibilità di una coscienza anormale, spiritualmente turbata, la si può ammettere soltanto svisando per prevenzione materialistica le fonti.

2. Il miracolo intellettuale della sapienza di Gesù
La persona di Gesù non è soltanto una garanzia, umanamente attendibile, ma diventa anche un criterio dato da Dio, una testimonianza dall’Alto. Gesù non può essere incluso nei limiti tracciati agli uomini. Egli infrange i confini del puro umano.
La sua persona diventa un miracolo morale, che non si può spiegare in base a cause puramente naturali. Nella persona di Gesù appare visibile il sigillo che Dio gli ha impresso per legittimare la sua missione.
Che in Gesù agisse una forza intellettuale che trascende la misura umana, risulta tanto dal contenuto della sua dottrina, quanto dal modo con cui egli l’acquistata ed ha saputo trasmetterla ad altri.
a. Gesù dà una risposta alle questioni più palpitanti dell’anima umana, che riguardano Dio e l’uomo, la vita presente e futura, il corpo e l’anima, la società e l’individuo; e questa risposta è formulata in modo così equilibrato, che ne risulta una dottrina, meravigliosa, coerente ed armonica.
Singolare e nuova è l’idea di Dio in Gesù.
In essa appaiono sia la maestà infinitamente sublime di Dio, sia la sua bontà paterna che ha pietà di tutti, l’assoluta dipendenza e soggezione dell’uomo a Dio, come il valore dell’anima immortale. Egli ha affermato la vanità di ogni cosa terrena, ma anche l’importanza del presente periodo di prova in funzione dell’eternità. Tutto ha il suo centro ed il suo fine in Dio, ma tutto riceve da Dio il suo splendore ed ottiene dal servizio di Dio il suo valore.
La dottrina di Gesù ha fecondato tutta la civiltà occidentale. Gli impulsi religiosi, etici e sociali che vi agiscono hanno la loro fonte nel suo Vangelo!
b. La dottrina di Gesà è del tutto originale; egli non l’ha derivata né da fonti giudaiche né da fonti extragiudaiche. Non l’ha attinta alla sapienza delle scuole rabbiniche; scuole che egli non ha nemmeno frequentato, suscitando proprio per questo stupore ed ammirazione (Mc 6, 2; Lc 2, 47). “Come mai costui conosce le Scritture senza avere studiato?”(Gv 7, 15). Gesù non ha tratto la sua sapienza neppure da fonti extra-giudaiche. Per la dottrina di Gesù non è possibile trovare paralleli sufficienti.

c. La dottrina di Gesù è inoltre indirizzata e adatta a tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni cultura, di ogni età e condizione. Suscita meraviglia che la dottrina di Gesù, al pari della sua persona, non conosca limiti nazionali o restrizioni dipendenti dal tempo. Egli ama e conosce il suo popolo, ma non ne condivide la grettezza. La lingua da lui usata è soltanto l’involucro; l’ambiente giudaico è soltanto la forma in cui egli versa un contenuto che ha un valore universale ed eterno.
Perciò le parole di Gesù risuonano familiari a tutti gli uomini, senza distinzione di età, di professione di classe sociale, di appartenenza etnica e culturale. Occorre aggiungere che Gesù di Nazareth è l’unico in tutta la storia che ha conservato sempre ugualmente chiara e determinata la sua dottrina, senza sviluppo e senza tentennamento, dal primo momento della sua comparsa fino al suo ultimo respiro!
Nelle idee di Gesù non è possibile riscontrare alcuna evoluzione ed anche di fronte alla morte Egli non vi ha apportato alcun mutamento.

Si è constatato che Gesù non rivela mai stupore e sorpresa. Gesù non pone alcuna vera domanda; (Mc 6, 38; 8, 28; 14, 37 sono domande con cui Egli intende sollecitare una constatazione, ma non attestare una conoscenza). Non ha neppure bisogno di correggersi, non ha nulla da ritrattare e non deve mai fare la confessione: mi sono sbagliato!
d. InfineGesù ha presentato le più profonde verità religiose con semplicità naturale e con chiarezza. Nella sua bocca i dati della vita quotidiana si trasformano in similitudini sublimi, incomparabilmente superiori a quelle dei rabbini, per il loro contenuto profondo e la loro viva chiarezza.
Ma nella disputa con i suoi avversari Egli sa pure snervare con acutezza e prontezza tutti i loro argomenti e scansare le loro insidie (Mc10, 2; 11, 27; 12, 13). Perciò suscita l’ammirazione del popolo che stupisce sia della grazia delle sue parole (Lc 4, 22), sia della loro autorità sbalorditiva (Mt 7, 29).

LA VIA REGALE DELLA CROCE 0

LA VIA REGALE DELLA CROCE

+ Antonio Santucci Vescovo emerito di Triveneto

La bellezza del creato riflette la sapienza e la bontà infinita del Creatore che ha creato l’universo per l’uomo.
L’uomo, creatura prediletta da Dio, è chiamato, a contemplare questo dono immenso, ad usufruirne ed anche a goderne, dando lode e gratitudine al suo Signore.
Cosa del tutto diversa, però, è mettersi in ginocchio dinanzi alle ideologie mondane, che, totalmente immerse nelle realtà sensibili, dimenticano Dio ed invitano a seguire le proprie tendenze, sfrenate, senza alcun limite a quelle norme morali che la stessa retta ragione è in grado di riconoscere e giungono a ritenere i comandamenti di Dio e gl’insegnamenti del Vangelo come roba da medioevo. Danno gravissimo per l’umanità intera. Perché la Parola di Dio rimane in eterno ed è sempre viva: essa è l’unica guida per una vita serena, gioiosa, tale da soddisfare tutte le esigenze del cuore, la sola che apre alla speranza che non delude.
Per poter vivere in maniera conforme alla dignità umana e tanto più per vivere da cristiani, è necessario un serio cammino ascetico.
“Se uno vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. È Gesù che parla, Lui che è verità eterna, verità assoluta.
Per una falsa interpretazione del Concilio Vaticano II, si è creata, anche fra i cattolici, una mentalità paganeggiante come se oggi non ci sia più bisogno della mortificazione, della lotta interiore per vincere le tentazioni e non cadere in peccato. Questa mentalità contiene una vera e propria eresia perché in pratica nega il peccato originale e dimentica che la nostra natura redenta dal Sangue di Cristo, è rimasta ferita con tendenze da combattere e vincere con la grazia di Dio. La conseguenza è che non pochi cristiani pensano di potersi costruire una moralità a proprio uso e consumo.
Gesù che è venuto a darci la sua pace, (cfr. Gv. 14,27) ci dice anche:”Non sono venuto a portare la pace, ma una spada “ (Mt. 10,34). La spada per combattere e vincere le nostre passioni sregolate e tutte le suggestioni di satana.

Rinnegare se stesso significa che in noi ci sono tendenze cattive che bisogna combattere e vincere con l’aiuto della divina grazia. Solo così è possibile far morire in noi quello che la Sacra Scrittura chiama “uomo vecchio”, l’uomo che si ritiene artefice della propria felicità. Illusione fatale: il grande Agostino lo ha sperimentato sulla sua pelle, ma alla fine ha lasciato quel grido che sfida i secoli “O Signore, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

Per vivere secondo Dio, dobbiamo lottare con noi stessi. Lo afferma anche l’apostolo Paolo: “Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti compio il bene che voglio, ma il male che non voglio … Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Me sventurato. Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,18-24).
L’angosciosa domanda trova risposta nell’inno di lode e di ringraziamento a Dio che ci dà la vittoria in Cristo Gesù, salvatore e redentore del mondo.

Solo con l’aiuto della grazia divina, possiamo ottenere la vittoria e vivere secondo lo Spirito e non secondo la carne “Vi dico, dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere,… Chi le compie non erediterà il Regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, castità “ (Gl, 5, 19-22).

Dentro di noi c’è una dura lotta fra il bene e il male. La grazia santificante e le grazie attuali che si ottengono con la preghiera e con i sacramenti ci danno la possibilità di vincere. Dio rispetta la nostra libertà, per questo è necessario che noi rispondiamo con tutta la forza della volontà. San Pio da Pietrelcina voleva che i suoi penitenti fossero gente decisa e ripeteva spesso; “Di soldati che non combattono, non ho che farmene“

Solo con serio impegno ascetico, riusciamo a superare ogni compromesso con il peccato. “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettalo nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna‘‘ (Mt 5,29-30).

Per questo San Paolo esorta noi cristiani a rivestirci dell’armatura di Dio per combattere contro 1e passioni e superare le insidie del diavolo ed impegnarci con quell’entusiasmo che mettono gli sportivi per vincere la gara: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io, dunque, corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato (1 Cor 9, 24-27).
Altro che conformarci alle ideologie di questo mondo e adattarci una vita borghese!

La Sindone è vera, rifacciamo gli esami 0

La Sindone è vera, rifacciamo gli esami

Padre Berbenni: vennero programmati 26 interventi, fu realizzato solo quello con il carbonio 14

La Sindone di Torino non è soltanto un documento importante per la storia del cristianesimo ma anche un vero e proprio laboratorio di ricerche. Alcuni tra i più qualificati scienziati del mondo si sono occupati di questo telo di lino. È la «reliquia» critiana più conosciuta, tanto che una mostra su di essa ha attirato folle anche in estremo Oriente. Incontriamo Gianfranco Berbenni, il francescano che coordina (con Gabriella Girelli) i due corsi di sindonologia — uno esegetico e uno medico — alla Pontificia Università Lateranense.
Professor Berbenni, a che punto sono le ricerche scientifiche sulla Sindone?
«Il lato debole, dal 1972 a oggi, è che esse non sono mai state affidate a un’équipe universitaria. Intendo dire a studiosi di una o più università non distaccate, che riuscissero a integrare le varie facoltà per presentare un progetto di analisi. Anche il celebre gruppo americano, lo STRP, forte di circa 40 persone di chiara fama, non ebbe tale caratteristica. Erano studiosi singolarmente impegnati. E apparteneneti a diverse fedi religiose, un fatto che non va sottovalutato. Non c’è stato però un coordinamento di alto livello tra le discipline».
Di conseguenza?
«C’è ora lo spazio per programmare una ricerca con queste caratteristiche. Si può ammettere che sino a oggi sulla Sindone si è realizzato un 20% di quello che si potrebbe fare».

Perché ha detto dal 1972 in poi?
«In quell’anno Max Frei, criminologo di Zurigo, fu convocato per autenticare le foto della Sindone del 1969. Notò che il tesssuto era ricco di polveri e sedimenti. Propose di prelevarne dei campioni e, partendo dai pollini, tentare datazione e provenienza. Con lui le scienze tecnologicamente avanzate si interessano al telo».
Poi cosa è successo?
«Passiamo al 1976-77. Due militari statunitensi, Jackson e Jumper, dopo aver visto le foto della Sindone, decidono di sottoporle al VP-8 (un elaboratore di immagini usato per mettere a fuoco foto spaziali non nitide e per dare tridimensionalità ai dati). Lo fecero grazie al dottor Lynn, che lavorava a Pasadena. A questo punto l’interesse esplode. Il volto acquista tridimensionalità anatomica e non pittorica».

Cosa suscitò la nuova immagine?
«Cominciarono le ricerche del gruppo più allargato coordinato da padre Rinaldi, salesiano statunitense di origini italiane, che organizzò ad Albuquerque (New Mexico) un convegno scientifico a cui partecipò il Centro Romano di Sindonologia e furono coinvolti scienziati di Los Alamos. È l’estate ‘77».

E quel convegno…
«Fu una svolta storica. L’indagine scientifica della Sindone si divise: da una parte la teoria americana, dall’altra quella che io chiamo “la teoria con i piedi per terra”».

Si spieghi meglio…
«Gli americani cominciarono dal volto, che rivela una sofferenza serena. Come mai il telo, si sono chiesti, registra l’impronta della fossa nasale? Scoppia l’ipotesi che la traccia delle parti dove non ci fu contatto fosse causata da un’energia da studiare. Nel 1978, in ottobre, il gruppo americano ha il permesso di realizzare indagini fotografiche e prelievo di materiale per 3 giorni. Gli scienziati giunsero con 10 tonellate di strumenti, con scorte e visti speciali. Erano uomini importanti per la sicurezza Usa».

Dopo di che?
«Nel 1981 pubblicano i risultati in una ventina di articoli su riviste scientifiche. Il 13 maggio Jackson e monsignor Ricci (fondatore del Centro Romano di Sindonologia) sono a san Pietro per essere ricevuti dal papa. L’attentato di quel giorno impedisce l’incontro. Nel dossier, tra l’altro, c’era la foto di una fibra della Sindone intrisa di sangue. Nell’’82, l’Accademia delle Scienze dell’Urss riconosce l’inoppugnabilità delle ricerche americane».
La tappa successiva…
«È il 1984. Viene presentata al cardinale di Torino Ballestrero, custode pontificio (la Sindone è «donata» nel ‘83 dai Savoia al Vaticano) un fascicolo con 26 nuovi progetti di indagine sul telo, tra cui quello del C-14 (il carbonio 14 radioattivo), un metodo molto usato in campo archeologico e antropologico. Tra l’’84 e l’’88 pressioni molto forti riescono a scorporare il C-14 dagli altri esami. Alla fine, dei 26 proposti, sarà l’unico».
Ma forse era il più importante…
«Anche tra i restanti 25 ce n’erano di essenziali. Ma le pressioni vinsero e così il 21 aprile 1988 si realizzò il prelievo per l’unico esame. Il 13 ottobre si annunciarono i risultati. I quali, è noto, rivelarono che “allo stato attuale” delle indagini si dovrebbe datare la Sindone tra la metà del XIII secolo e la fine del XIV. Il fatto diede un colpo mortale al gruppo scientifico americano che, sostanzialmente, si sciolse. Trionfa l’ipotesi medievalistica».
Il gruppo STRP allora sparì?
«Non del tutto. Dopo le polemiche, dal ‘92 al ‘96, alcuni di loro proseguono le ricerche. Ne realizzano — sempre per la datazione — verificando eventuali effetti del gas radioattivo radon. Esaminano i rivestimenti microscopici provocati da funghi, capaci di alterare la datazione».

E dopo?
«Fermiamoci al ‘96. In quell’anno esplode la ricerca sul DNA della Sindone, invero con procedure improprie. Garcia Valdes comunica di averlo individuato. Pubblica il volume Il DNA di Dio. Il cardinale Saldarini, arcivescovo di Torino, sconfessa la procedura con cui si era arrivati al dato. La cosa più grave è la notizia, ampliata dai media, che era stato messo in banca il DNA per poterlo utilizzare in una eventuale clonazione. La reazione della Chiesa è comprensibile».

L’incendio del ‘97 come entra in questa storia?
«Le fiamme che minacciarono nell’aprile la Sindone portarono all’emergenza il problema della conservazione. Da quel momento esso è diventato anche il cuore della ricerca».

Cosa intende dire?
«Che, ad esempio, nel ‘98, con l’ostensione per il centenario delle prime foto, si sono realizzate immagini ad alta definizione e, di pari passo, anche ricerche scientifiche per la preparazione della teca di custodia. Nel 2002 questo problema è risolto: la Sindone è stesa, non più avvolta, in un contenitore con l’assenza d’aria e per migliorare la condizioni di conservazione si usa un gas inerte, l’argon».

Nel luglio del 2002 non vennero tolti i rattoppi alla Sindone?
«Sì, le aggiustature del 1532 e anche il telo di supporto. Con il permesso del papa si è fatta anche la foto del retro».
Ma ci sono anche altre ricerche, ad esempio l’impronta delle monetine sugli occhi, una scritta…
«Le considero deboli, inaffidabili. Non punterei sulle monetine coniate negli anni di Tiberio o sulla scritta “Nazarenus”. Scientificamente non reggono».

Qual è, seondo lei, l’unico dato inoppugnabile?
«Che il sangue presente sul telo è umano. Si è identificato anche il gruppo sanguigno. Inoltre c’è la presenza di bilirubina: si tratta dunque di sangue traumatizzato. Di più: è sangue catalogabile come “intra vitam” e “post mortem”».

Nel 1978 un analista di Chicago, McCrone, annunciò di aver trovato dei pigmenti pittorici…
«È ipotesi già sconfessata dagli studi del gruppo STRP. A riprova le foto agli ultravioletti del ‘78-’81 dimostrano l’uscita del siero giallastro dal costato, di quel liquido che non si vede a occhio nudo sul telo. Nessun pittore può aver usato vernici per ottenere effetti invisibili!».

Ma il C-14 resta un dato che…
«Le rispondo con franchezza che quelle analisi andrebbero ripetute. È vero: sono state realizzate da tre laboratori, ma le pressioni furono innumerevoli. Per arrivare a dissipare i dubbi, si dovrebbe ripetere l’analisi e fare un confronto con ulteriori campioni di duemila anni fa. Dal primo esame del C-14 sono passati 15 anni: per la scienza è un’enormità. Andrebbe costituito un pool di «carbonisti» per procedere alla seconda serie di indagini. Che, del resto, era già prevista nel 1988, proprio al taglio del tessuto sindonico. Ricordo che se n’è usata la metà, l’altra sarebbe disponibile per ulteriori ricerche. I carbonisti hanno affinato le metodiche. C’è anche da tener presente l’irrompere delle nanotecnologie».
Mentre padre Berbenni dice queste cose, ricordiamo che la Fondazione 3M ha partecipato e sostenuto logisticamente le ricerche del 1988. Essa, grazie all’intervento di Antonio Pinna-Berchet, suo presidente, custodisce l’archivio del professor Giovanni Riggi di Numana contenente dati di varia natura dal 1978 in poi. Mentre ci accomiatiamo da padre Berbenni, gli chiediamo a bruciapelo: «Secondo lei, è proprio il telo che avvolse Nostro Signore»? Sorride. Risponde: «Si».

LA MISERICORDIA DI DIO È INFINITA 0

LA MISERICORDIA DI DIO È INFINITA

A-LA MISERICORDIA DI DIO SIA AL 1° POSTO!
Il Servo di Dio P. Mariano da Torino, il sorridente Cappuccino che, per 17 anni, ha cercato di costruire la cattedrale di Dio nel cuore di tutti gli Italiani per mezzo delle sue avvincenti conversazioni religiose in Televisione, dice: “Troppo poco si paria della misericordia divina e bisogna parlarne sempre perché è questa l’onnipotenza con cui Dio preferisce agire e che più apre il nostro cuore alla gioia e alla speranza”.
Aggiunge che il fior fiore della Bibbia è costituito dall’amore misericordioso di Dio, e che la misericordia è la parola più ripetuta nella Sacra Scrittura: vi si trova almeno settecento volte di cui cinquecento nell’Antico Testamento.
Il Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Dives in misericordia” afferma: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositarla e dispensatrice”. Quindi noi (che siamo Chiesa) saremo veri cristiani se professeremo e annunceremo la misericordia di Dio.
La Madonnache invochiamo “Madre della misericordia”, nel sublime cantico del Magnificat, ha pronunziato una delle più belle espressioni a lode della misericordia, dicendo: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”. Ci ricorda, in questo modo, che la storia dell’umanità è la storia della misericordia di Dio; il Signore, anche quando è costretto a permettere dei castighi, lo fa sempre per un disegno di misericordia.

B – “DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE LA SUA MISERICORDIA”:
1) Nel Paradiso terrestre, Dio quando espulse i nostri progenitori da quel luogo incantevole, subito li consolo con la più grande promessa di misericordia, assicurandoli che sarebbe venuta una donna meravigliosa, la Vergine Santa, e lei e il suo Figlio Gesù, avrebbero schiacciata la testa al demonio tentatore, portando misericordia e salvezza agli uomini: “Porrò inimicizia tra te (o demonio) e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa” (1).
S. Agostino esclama: “Felice colpa (quella di Adamo e di Eva) che ci ha meritato un così grande Salvatore!”
S. Paolo afferma: “Laddove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (2), quindi la misericordia.
2) Ai tempi del diluvio: “Era grande la malvagità degli uomini” – dice la Bibbia – essi non pensavano ad altro che al male; erano tutti corrotti; conoscevano solo perversità e violenze. Nessuno si convertiva, nonostante gli ammonimenti di Dio per mezzo di Noè. Allora Dio è costretto a far giustizia: ed ecco il diluvio. Ma accanto alla giustizia fa trionfare la misericordia: salva le uniche persone buone, Noè e la sua famiglia, e con loro salva l’umanità (3).
3) Nella perversione di Sodoma e Gomorra: tutti i cittadini – afferma la Sacra Scrittura – “erano perversi e peccavano molto contro il Signore”; specialmente imperversava il vizio impuro dell’omosessualità e sodomia. Non davano nessun segno di conversione, anzi diventavano sempre peggiori. Dio disse nel colloquio con Abramo che era pronto al perdono se in quelle due grandi città si fossero trovati anche soltanto dieci giusti; ma non c’erano.
Allora il Signore fu costretto a punire col fuoco quelle città impenitenti, ma salvò Lot e la sua famiglia (la moglie e le figlie) che erano le uniche persone buone (4).
4) Ai tempi del popolo eletto: Dio continuamente ricolma di benefici il suo popolo, ma esso quasi sempre risponde con la più nera ingratitudine. Dio lo richiama lo ammonisce, ma quello è di testa dura e non da ascolto. Allora è costretto a castigarlo; ma appena scorge un mimmo di pentimento, subito lo perdona. Dice il Signore “Si dimentica forse una donna del suo bambino? Così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, Io invece non ti dimenticherò mai”(5) . “Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto” (6). Il salmo 135 ripete per ben 27 volte: “Eterna è la sua misericordia”
5) Viene Gesù: Egli è la misericordia incarnata: si fa uomo per espiare i nostri peccati e così glorificare il Padre.
Il Vangelo è soprattutto la lieta notizia che la misericordia infinita di Dio è diventata visibile in Gesù. S. Giovanni Battista ai suoi seguaci indica Gesù con queste parole: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toghe il peccato del mondo”(7).
E S. Giovanni Evangelista afferma: “Il Sangue di Gesù Cristo suo Figlio ci purifica da ogni peccato”. “Voi sapete che Egli e apparso per togliere i peccati”(8).
6) La misericordia di Gesù durante la sua vita terrena: Verso gli ipocriti farisei ha parole di fuoco; ma verso i poveri peccatori, ha solo parole e gesti di bontà: va a tavola con i ladri, con i trafficanti, discute con funzionari corrotti, si lascia avvicinare dalle prostitute. E ai farisei che lo criticano risponde: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori alla conversione”. E soggiunge che le prostitute e i ladri, che si erano convertiti, li precederanno nel Regno dei Cieli. Di fronte a Zaccheo, che è un ladro e un ricco egoista, dice: Verrò a casa tua. Va e lo converte (9). Davanti all’adultera, trascinata verso la condanna a morte, dopo severe parole contro chi la voleva lapidare esclama con dolcezza: “Nessuno ti ha condannata? Neppure Io ti condanno. Va’ e non peccare mai più”(10). Al ladrone pentito, che sta accanto a lui sulla croce Gesù promette il Paradiso (11).
Le parabole più commoventi son quelle sulla misericordia (12) La pecorella smarrita sottolinea la ricerca affannosa del pastore per trovarla: egli rappresenta Cristo Dio alla ricerca amorosa del peccatore. La moneta perduta pone in evidenza la somma preoccupazione della donna per ritrovarla; e rappresenta Cristo Dio che, con amore infinito di padre e di madre, tanto si affanna nel ricercare l’anima smarrita. Il figliuol prodigo, “è la più bella storia – dice lo scrittore Papini – raccontata da bocca umana”.
Questo figlio che abbandona suo padre, sperpera tutto il capitale nei vizi, e si riduce all’estrema miseria e alla fame, poi riflette e torna a casa, è figura del povero peccatore che ritorna al Signore. Quel papà che l’aveva sempre atteso con ansia, che gli corre incontro e lo abbraccia, è figura del Padre celeste che sempre attende, che sempre aspetta il povero peccatore.
Queste tre parabole terminano tutte con la gioia festosa di chi ritrova ciò che aveva perduto: Quando il peccatore si lascia riabbracciare da Gesù, sentirà il suo cuore traboccare di una gioia incomparabile.
7) La misericordia di Gesù dopo la sua Risurrezione: in questi 2.000 anni, ha trionfato su innumerevoli anime che solo la matematica del Cielo potrà contare.
S. Paolo, da feroce persecutore dei cristiani, diventa il più grande apostolo.
S. Agostino, dopo 16 anni in cui aveva marcito nel peccato, si converte e sarà il più grande Dottore della Chiesa.
S. Girolamo si converte e per far penitenza dei suoi peccati rimane a Betlemme per ben 35 anni, in una spelonca accanto alla grotta della Natività, pregando, studiando e traducendo in latino la Bibbia. In una notte di Natale gli appare Gesù Bambino che gli chiede: Non hai niente da darmi nel giorno della mia Nascita? Il Santo gli risponde: Ti do il mio cuore! – Va bene, ma desidero ancora qualche altra cosa. – Ti do le mie preghiere! Va bene; ma voglio qualche cosa di più, insisteva Gesù. – Non ho più niente, che vuoi che ti dia? – Dammi i tuoi peccati o Girolamo, rispose Gesù Bambino, perché io possa avere la gioia di perdonarli ancora.
S. Margherita da Cortona, vive scandalosamente per nove anni come concubina (ossia accompagnata e non sposata); ma Gesù le tocca il cuore, la converte. Diventerà una delle più grandi penitenti.
In moltissime altre anime lungo i secoli, e soprattutto oggi, ha trionfato la misericordia di Dio. L’amore misericordioso di Gesù continua, con dolce violenza, il suo cammino alla conquista dei cuori.
Lui stesso ripete: “Ecco Io sto alla porta (del cuore) e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre Io verro da lui e farò grande festa con lui”(13).
Convertiamoci senza indugio! La morte può venire da un momento all’altro! “Non aspettare a convertirti al Signore – ammonisce la Bibbia – e non rimandare di giorno in giorno, poiché improvvisa scoppierà l’ira del Signore”(14). Se un’anima varca le soglie dell’eternità macchiata di peccato grave per non avere approfittato della divina misericordia, cadrà inesorabilmente nelle mani della tremenda infinita giustizia di Dio!
“Convertitevi – grida Gesù – perché il Regno di Dio e vicino! (15). Non ci spaventi il numero e la gravita dei nostri peccati; la misericordia di Dio è infinitamente più grande. Se con cuore pentito ci convertiamo, potremo far nostre le parole che Dante pone sulle labbra dello scomunicato Manfredi, ferito a morte nel campo di battaglia: “Orribil furon li peccati miei; / ma la bontà infinita ha sì gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei” (16).
ESEMPIO: S. Leopoldo Mandic (1866-1942) Cappuccino della Croazia, di scarse doti fisiche (era balbuziente gobbo, alto appena un metro e 35 centimetri, un po’ deforme), ma di altissime virtù che esercitò in grado eroico specialmente nei quarant’anni in cui fu Confessore ricercatissimo a Padova. Confessava circa 11 ore ogni giorno, sempre accogliente, cordiale, paterno, gentile con i penitenti. Mai una espressione di noia, mai una parola di impazienza. Gli ammonimenti li faceva con aria di chiedere perdono. Profetizzò il bombardamento aereo che avrebbe distrutto tutto il Convento e l’attigua chiesa, ma non avrebbe distrutto la Celletta ove lui attendeva alle Confessioni per tante ore al giorno. No! – soggiunse -, “non sarà colpita questa Celletta: qui Dio ha usato tanta misericordia alle anime; deve restare a monumento della sua bontà”.
Il 14 maggio 1944, nel bombardamento aereo su Padova, furono squarciati e distrutti il Convento e la Chiesa dei Cappuccini, ma rimasero intatte due cose: la statua dell’Immacolata, dinanzi alla quale il P. Leopoldo era solito celebrare la S. Messa, e la Celletta – Confessionale: vero monumento della divina misericordia.
Abbiamo peccato? Conveniamoci e confessiamoci bene! La bontà di Dio ci perdonerà donandoci pace e gioia, e noi stessi rimarremmo monumenti vivi della misericordia di Dio nell’eternità del Cielo.
PROPOSITO: Abituiamoci a meditare sulla Misericordia di Dio e a parlarne frequentemente soprattutto ai ragazzi, ai peccatori, a chi ha perduto la fede. Recitiamo spesso e con devozione la preghiera insegnata dalla Madonna a Fatima: “Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia”.

LA GRANDE PROMESSA DEL SACRO CUORE DI GESÙ 0

LA GRANDE PROMESSA DEL SACRO CUORE DI GESÙ

DOMANDA ANGOSCIOSA
L’esperienza insegna che non v’è persona che cer­chi di vivere in conformità della sua Fede, la quale non si fermi angustiata davanti a questa domanda:

Mi salverò o mi dannerò?
Turbini di pensieri le passano allora per la mente conturbata ad accrescere la sua apprensione: la cono­scenza della sua debolezza, la propria incostanza, l’as­salto furibondo delle passioni, le suggestioni del male, le mille insidie di cui è circondata, l’ambiente malsano in cui deve vivere: discorsi provocanti, derisioni, scher­ni, insulti, scandali, cattivi esempi, tutto coopera a farle nascere un senso di grande sfiduciafino a gettarla nel più profondo avvilimento.

Ecco allora venirle incontro l’infinita misericordia del Cuore di Gesù che le sussurra: «La Grande Pro­messa che vengo a suggerirti farà svanire i tuoi timori e ti ridonerà pace e serenità. Pensa che metto a tua disposizione l’Onnipotenza del mio Amore per mette­re al sicuro la tua salvezza. Fidati di me che ho im­pegnato la mia parola! Fidati di me che ti amo infini­tamente e null’altro che di vederti un giorno entrare in Cielo a godere la felicità eterna. Incomincia subito a fare le Nove Comunioni dei Primi Venerdì del mese».

Non devi pensare però alla tua personale salvezza soltanto, ma sii sollecito pure della salvezza degli al­tri. Proponi di diventare zelatore di questa devozione consigliando altri a fare i Primi Venerdì. Ricordati: «Chi salva un’anima assicura la salvezza della sua ».
Su, dunque, mettiti all’opera diffondendo largamen­te questo opuscolo tra i tuoi parenti, amici e conoscen­ti. Il denaro che spenderai in questa maniera ti frut­terà il cento per uno per il Cielo, e nello stesso tempo ti servirà a riparare il denaro speso malamente nella tua vita passata.

Chi si salva?
Si salva chi fa una buona morte cioè chi muore in Grazia di Dio. Chi al contrario muore in peccato mortale si perde per sempre e sarà condannato alle pene eterne dell’inferno.

Possiamo noi sapere con certezza quale sarà la nostra morte, se buona o cattiva?
No, non possiamo saperlo con certezza assoluta, perciò questa incertezza su un punto di così capitale importanza deve tenerci in una salutare trepidazione riguardo alla nostra salvezza eterna e spingerci a vive­re bene, per sperare di morire bene.

Però dinnanzi a questa angosciosa incertezza pos­siamo aprire il cuore alla più consolante speranza, anzi alla certezza morale di assicurarci il Paradiso mediante una buona morte: ed è l’ineffabile bontà del Cuore mi­sericordiosissimo di Gesù che ci ha voluto concedere questo supremo conforto mediante la Grande Promessa.

Impegniamoci quindi a fare fedelmente i Nove Pri­mi Venerdì secondo le ‑intenzioni del Cuore di Gesù. Non facciamo i pigri dicendo che è possibile salvarsi l’anima anche senza questa pia pratica. San Gregorio Magno ci ammonisce che «Quando si tratta di una eter­nità, le precauzioni non sono mai troppe!».

LE PROMESSE DEL CUORE DI GESÙ
Gesù fece molte promesse a Santa Margherita Maria Alacoque. Quante sono? Come sono molti i colori e i suoni, ma tutti riducibili ai sette colori dell’iride e alle sette note musicali, così, come si rileva dagli scritti della Santa, sono molte le promesse del Sacro Cuore, ma esse si possono ridurre alle dodici, che si riportano abitualmente:
1 ‑ Io darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato;
2 ‑ Io metterò e conserverò la pace nelle loro fami­glie;
3 ‑ lo li consolerò in tutte le loro afflizioni;
4 ‑ Io sarò il loro rifugio in vita e specialmente in punto di morte;
5 ‑ Io spargerò le più abbondanti benedizioni sopra tutte le loro imprese;
6 ‑ I Peccatori troveranno nel mio Cuore la sorgente e l’oceano infinito della misericordia;
7 ‑ Le anime tiepide diventeranno fervorose;
8 ‑ Le anime fervorose s’innalzeranno rapidamente a grande Perfezione;
9 ‑ Io benedirò perfino le case dove l’immagine del mio Sacro Cuore sarà esposta e venerata;
10 ‑ Ai Sacerdoti darò la Grazia di commuovere i cuori più induriti;
11 ‑ Le persone che propagheranno questa mia devo­zione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà mai cancellato;
12 ‑ La così detta «Grande Promessa» di cui ora parleremo.

Queste promesse sono autentiche?

Le rivelazioni in genere e le promesse in particolare fatte a S. Margherita sono state esaminate meticolosa­mente e, dopo severa deliberazione, approvate dalla Sacra Congregazione dei Rti il cui giudizio fu poi confermato dal Sommo Pontefice Leone XII nel 1827. Leone XIII, nella sua Lettera Apostolica del 28 giugno 1889 ha esortato a rispondere agli inviti del Sacro Cuo­re in vista delle «ammirabili ricompense promesse».

Che cosa è la grande promessa?

È l’ultima delle dodici promesse, ma la più impor­tante e straordinaria, perché con essa il Cuore di Gesù assicura l’importantissima Grazia della «morte in Grazia di Dio», quindi la salvezza eterna a chi farà in suo onore la Comunione nel Primo Venerdì di nove mesi consecutivi.

Ecco le precise parole della Grande Promessa:

«io ti prometto, nell’eccesso della misericordia del mio cuore, che il mio amore onnipotente concederà la grazia della penitenza finale a tutti coloro che si comunicheranno il primo venerdì del mese per nove mesi di seguito. essi non morranno nella mia disgrazia, nè senza aver ricevuto i santi sacramenti, e in quegli ultimi momenti il mio cuore sarà loro un sicuro asilo».

Autenticità della Grande Promessa
Oltre a quanto si è detto circa l’autenticità delle promesse del Sacro Cuore, dobbiamo aggiungere che per la Grande Promessaabbiamo la massima certezza che umanamente si possa desiderare. Infatti essa, mol­to più delle altre undici, fu vagliata, accertata e studiata scrupolosamente dalla Chiesa. Come potevano, infatti, se non avessero avuta la certezza assoluta, le Sacre Congregazioni competenti approvare la pia pratica dei Nove Primi Venerdì, tanto sconcertante da annul­lare finanche una loro decisione (naturalmente non in­fallibile) del 1753, la quale condannava tutte le prati­che o devozioni alle quali era legata la promessa del­la perseveranza o della conversione finale?

Ai Difensori della Fede, anche se si fossero dimen­ticati di quella condanna, non poteva certamente sfug­gire loro che una pratica così ardita sembrava presen­tarsi in aperto contrasto con l’assai noto canone del Concilio Tridentino, che dichiara di Fede definita il fatto che nessuno può essere certo della propria salvezza con una certezza assoluta e infallibile «senza una speciale rivelazione». Orbene la Grande Promessa non annunciava appunto a chiare note di essere la «spe­ciale rivelazione»?
Certo si è che la pia pratica, insieme col «Mese del Sacro Cuore», riceve una solenne approvazione e un valido incoraggiamento da una Lettera che il Pre­fetto della Sacra Congregazione dei Riti scrisse per volere del Papa Leone XIII il 21 luglio 1899.
Da quel giorno gli incoraggiamenti dei Sommi Pon­tefici per la pia pratica dei Primi Venerdì non si conta­no più. Basti ricordare che il Papa Benedetto XV volle dare egli stesso la più bella e autorevole testimonianza sull’autenticità della Grande Promessa riportandone te­stualmente le parole nella Bolla Apostolica con la qua­le Margherita Maria Alacoque veniva dichiarata Santa: Gesù Nostro Signore si degnò poi anche di rivolgere alla Sua fedele sposa queste testuali parole: TI PROMETTO NELL’ECCESSO DELLA MISERICORDIA… ecc. (Acta Ap. Sedis 2 novembre 1920 ‑ vol. XII ‑ pag. 503).
Chi non comprende la grande importanza dell’in­troduzione della Grande Promessa in un documento di tale valore? Non è questa la prova più valida dell’auten­ticità di tale Promessa? Non sarebbe temerario chi vo­lesse dubitarne? Difatti la Chiesa, con tutta quella diligenza che suole usare quando si tratta d’innalzare all’onore degli altare i Santi, ha fatto, come abbiamo accennato, uno scrupoloso e minuzioso esame di tutti gli scritti di Santa Margherita, e non solo non vi ha trovato nulla da riprovare, ma li ha pienamente con­fermati colla sua autorità permettendone la divulgazio­ne in mezzo ai fedeli.
Per noi il giudizio della Chiesa, Maestra infallibile di verità, è più che sufficiente perché ne possiamo parlare liberamente colla più profonda convinzione dell’animo nostro.

La descrizione di Gesù fatta da un suo contemporaneo 0

La descrizione di Gesù fatta da un suo contemporaneo

Lettera di Publio Lentulo, Governatore della Giudea (antecessore di Pilato), nella quale si descrivono le fattezze di Gesù Cristo all’Imperatore di Roma, tradotto dal latino originale che si conserva dai Signori Cesarini di Roma.
“Ho inteso, o Cesare, che desideri sapere quanto ora ti narro: essendo qui un uomo, il quale vive di grandi virtù chiamato Gesù Cristo, dalla gente è detto profeta ed i suoi discepoli lo tengono per divino e dicono, che egli è figlio di Dio Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essa si trovano e son fatte. In verità, o Cesare, ogni giorno si sentono cose meravigliose di questo Cristo: risuscita morti, e sana gli infermi con una sola parola. Uomo di giusta statura, è molto bello di aspetto; ed ha maestà nel Volto, e quelli che lo mirano sono forzati ad amarlo e temerlo.
Ha i capelli di color della nocciola ben matura, sono distesi sino alle orecchie e dalle orecchie alle spalle sono di color della terra, ma più risplendenti. Ha nel mezzo della fronte in testa in crin spartito ad usanza dei Nazareni, il Volto senza ruga, o macchia, accompagnato da un colore modesto. Le narici e le labbra non possono da alcuno essere riprese con ragione; la barba è spessa ed ha somiglianza dei capelli, non molto lunga, ma spartita nel mezzo.
Il suo mirare è molto spaventoso e grave: ha gli occhi come i raggi del sole e nessuno può guardarlo fisso per lo splendore; e quando ammonisce, si fa amare, ed è allegro con gravità. Dicono che nessuno l’ha veduto mai ridere, ma bensì piangere. Ha le mani e le braccia molto belle, nella conversazione contenta molti ma si vede di rado: e quando vi si trova, è molto modesto all’aspetto, e nella presenza è il più bell’uomo che si possa immaginare; tutto simile alla madre la quale è la più giovane che si sia mai vista in queste parti.
Però se la Maestà Tua, o Cesare, desidera di vederlo come negli avvisi passati mi scrivesti, fammelo sapere, che non mancherò subito di mandartelo. Di lettere fa stupire la città di Gerusalemme. Egli non ha studiato giammai con alcun, eppure sa tutte le scienze, cammina scalzo, senza cosa alcuna sulla testa; molti ne ridono nel vederlo, ma in presenza sua nel parlare con lui tremano e stupiscono.
Dicono che un tal uomo non è stato mai veduto, né inteso da queste parti. In verità, secondo mi dicono gli ebrei, non si è sentito mai di tali consigli, di così grande dottrina, come insegna questo Cristo e molti dei Giudei lo tengono per divino e lo credono; e molti altri me lo querelano con dire che è contro la Maestà tua, o Cesare. Si dice di non aver mai fatto dispiacere ad alcuna persona, ma sì bene tutti quelli che lo conoscono, che l’hanno provato dicono di aver ricevuto benefizi e sanità.
Però alla Maestà tua, o Cesare, alla tua obbedienza sono prontissimo: quanto mi comandi sarà eseguito. Vale
Da Gerusalemme Indizione settima, luna undicesima. Della Maestà tua fedelissimo e obbedientissimo.

IL VANGELO DI GESÙ CRISTO 0

IL VANGELO DI GESÙ CRISTO

1. Il Vangelo e i Vangeli. Il vocabolo Vangelo significa “buona notizia”, “lieto annunzio” e deriva dal greco. Nel linguaggio biblico dell’Antico Testamento significava anzitutto annuncio di vittoria, e i profeti l’adoperavano per indicare il compimento delle promesse messianiche.Gesù si appropriò del termine per dichiarare l’avverarsi in lui delle profezie e del Regno di Dio. “Dopo che Giovanni fu arrestato, nota l’evangelista S. Marco, Gesù venne in Galilea, predicando il Vangelo di Dio. Diceva: il tempo è compiuto, e il Regno di Dio è giunto. Convertitevi e credete al Vangelo” (1, 14-15)“Evangelizzare” significa quindi, già durante la vita di Gesù, dare la lieta notizia che la salvezza è giunta, che Dio ha realizzato le sue promesse. A Nazareth, all’inizio dell’attività pubblica, Gesù, riferendo a sé profezie di Isaia e Sofonia, proclamò nella sinagoga davanti ai suoi compaesani: Lo Spirito del Signore è sopra di me,per questo mi ha consacratoe mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio,ad annunziare ai prigionieri la liberazionee il dono della vista ai ciechi;per liberare coloro che sono oppressie inaugurare l’anno di grazia del Signore (Lc 4, 18-19)Dopo la morte di Gesù il vocabolo diventa usuale e tipico in S. Paolo per designare l’annuncio della morte e risurrezione di Gesù, principio di redenzione e liberazione per ogni uomo. Il vocabolo riveste perciò nella bocca di S. Paolo una carica di entusiasmo, e il “Vangelo” riceve una titolatura gloriosa: “Vangelo di Dio”, “Vangelo di Cristo”, “Vangelo del Regno”, “Vangelo del Figlio di Dio”, “Vangelo della grazia di Dio”, “Vangelo della gloria di Cristo”, “Vangelo della pace”, “Vangelo della gloria”, “Vangelo della salvezza”. Da notare che per S. Paolo il Vangelo non è ancora un libro, ma parola viva portata dagli Apostoli e accompagnata da un’energia divina avente la capacità di trasformare i cuori preparati a riceverla. Ecco come ne parla ai Tessalonicesi, verso l’anno 50, durante il secondo viaggio missionario: “Il nostro Vangelo non vi è stato annunziato soltanto a parole, ma anche con potenza, con effusione dello Spirito Santo e con piena convinzione” (1Ts 1,5).Secondo quanto si legge alla fine del Vangelo di S. Marco, Gesù prima di accomiatarsi dai suoi ordinò loro: “Andate per tutto il mondo e annunciate il Vangelo (letteralmente: “portate la lieta notizia”) a tutte le creature. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (16,15). Il Vangelo deve dunque essere annunciato, per ordine di Gesù, su tutta la terra. A designare quelli che lo propagano venne subito coniato il termine “evangelisti”, e la loro azione sarà detta “evangelizzazione”. L’annuncio riguarda l’avvento del Regno nella persona storica di Gesù di Nazareth, e soprattutto la sua vittoria pasquale sopra il peccato e la morte.Per questo dall’età apostolica fino a oggi i vocaboli “Vangelo” ed “evangelizzare” hanno sempre conservato un’evocazione missionaria, significando ad un tempo notizia di qualcosa di nuovo, di inaudito, di gratuito che viene offerto agli uomini, e insieme invito pressante a riceverlo, convertendosi, uscendo fuori dall’ignavia e dal torpore dell’esistenza. Si veda per esempio come si esprime Origene nell’Omelia 7 dedicata al libro di Giosuè. Commentando il pittoresco episodio della caduta delle mura di Gerico al suono delle trombe dei sacerdoti ebrei per ordine di Giosuè, aggiunge: “Ora viene il nostro Signore Gesù Cristo, la figura del cui arrivo è già prima in quel Giosuè figlio di Nun; e manda i suoi sacerdoti, cioè i suoi apostoli, con trombe facili a portarsi da un luogo all’altro, cioè con la eccellente e celeste dottrina del Vangelo. Il primo a lanciare i suoi squilli di tromba è Matteo nel suo Vangelo. Suonano poi, ognuno con la propria tromba sacerdotale, Marco, Luca e Giovanni. Anche Pietro fa squillare la tromba delle sue epistole; anche Giacomo e Giuda. Ciò nonostante anche Giovanni continua ancora a far squillare la tromba con le sue epistole e con l’Apocalisse, e Luca con la storia delle imprese degli Apostoli. Venendo poi ultimo… Paolo e lanciando irresistibili squilli con le trombe delle sue 14 epistole contro le mura di Gerico, abbatté, scalzandole dalle fondamenta, tutte le macchinazioni dell’idolatria e i saccenti sistemi dei filosofi”.Questa pagina singolare, scritta nella prima metà del secolo III d.C. (Origene infatti morì nel 253 a seguito degli strapazzi subiti in prigione durante la persecuzione di Decio) ci attesta, tra l’altro, che a quel tempo si distingueva già nella Chiesa tra “Vangelo” e “Vangeli”, che cioè, oltre al lieto annuncio dato a viva voce, esistevano ormai quattro libri attribuiti agli apostoli (Matteo e Giovanni) o a loro discepoli (Marco e Luca). Potremmo chiamarli “i quattro annunzi”, nei quali risuonava in maniera caratteristica e differenziata secondo gli autori la notizia dell’avvenimento messianico di Gesù. Ireneo, vescovo di Lione, che era nato verso il 130 d.C.Nell’Asia Minore dove fu allievo di S. Policarpo, il quale a sua volta era stato discepolo di S. Giovanni, ci dà questa testimonianza degna di fede: “Matteo compose il Vangelo per gli Ebrei nella loro lingua mentre Pietro e Paolo a Roma predicavano il Vangelo e fondavano la Chiesa. Dopo la loro morte Marco, discepolo e segretario di Pietro, anch’egli ci trasmise per iscritto quanto era stato oggetto della predicazione di Pietro. E Luca, seguace di Paolo, compose un libro di quel Vangelo predicato dall’Apostolo. In seguito anche Giovanni, discepolo del Signore e che posò il capo sul petto di lui, egli pure compose un Vangelo durante la sua permanenza ad Efeso, nell’Asia” (Adversus haereses, 3,1). Nella medesima opera (3,11) lo stesso Ireneo illustra già i simboli attribuiti a ciascuno dei quattro evangelisti: il leone (Giovanni), il vitello (Luca), l’uomo (Matteo), l’aquila (Marco), una simbologia che assumerà qualche variante in S. Girolamo, il quale attribuisce l’aquila a Giovanni e il leone a Marco, e come tale verrà recepita dalle arti figurative.A partire da S. Ireneo, cioè dalla seconda metà del secondo secolo, si parla ormai correntemente nella Chiesa di Vangelo e di Vangeli per indicare sia l’annuncio orale, sia il messaggio scritto, sia i quattro testi evangelici. “Quanto è stato scritto da quattro, afferma Origene, è un unico Vangelo”. Ireneo parla di “Vangelo quadriforme”; a sua volta Eusebio di Cesarea conia l’espressione “sacra quadriga dei quattro Vangeli”, mentre S. Agostino preferisce l’appellativo “quattro libri di un unico Vangelo” (Trattato su S. Giovanni, 36).

Il Crocifisso resterà nelle scuole Lo ha deciso il Consiglio di Stato 0

Il Crocifisso resterà nelle scuole Lo ha deciso il Consiglio di Stato

Il crocifisso deve restare nelle scuole non perché sia un “suppellettile” o un “oggetto di culto”, ma perché “è un simbolo idoneo ad esprimere quei valori civili” che hanno origine religiosa, ma “che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato respingendo il ricorso di una finlandese che chiedeva la rimozione del crocifisso da una scuola media di Abano Terme (Padova).

La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che prima di darle torto aveva sollevato una questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta, nel dicembre del 2004, avevano dichiarato inammissibile la questione (e quindi non erano entrati nel merito) perché l’affissione del crocifisso nelle scuole non era prevista da una legge, bensì da due regolamenti del 1924 e del 1927 sugli arredi scolastici sui quali il giudice delle leggi non poteva sindacare.

A risolvere la delicata questione sono stati i supremi giudici amministrativi della sesta sezione. Nella sentenza di 19 pagine del Consiglio di Stato (presidente Giorgio Giovannini, relatore Giuseppe Romeo), vengono posti importanti paletti. Innanzitutto, come è scritto “la laicità, benché presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur all’interno della medesima “civiltà”, è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com’è al divenire di questa organizzazione”.

Insomma, diverso è il principio laico britannico da quello francese, statunitense e italiano. Premesso ciò, il Consiglio di Stato lascia alle “dispute dottrinarie” la definizione astratta di “laicità”: “in questa sede giurisdizionale” – si legge nella sentenza n. 556 – “si tratta in concreto e più semplicemente di verificare” se l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche sia “lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di laicità” che connota oggi lo Stato italiano, e al quale ha fatto più volte riferimento” la Corte Costituzionale. “E’ evidente – affermano i giudici di Palazzo Spada – che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo in cui è posto”.

Se in un luogo di culto “è propriamente ed esclusivamente ‘un simbolo religioso”, “in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso – prosegue la sentenza – potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo), valori civilmente rilevanti”.

Si tratta di “quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso – sottolinea il Consiglio di Stato – il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte ‘laico’, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni”.